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La Lucania

Giovanni Passannante

Giovanni Passannante, noto alla storiografia italiana ufficiale come anarchico lucano per aver “attentato” nel 1878 con un temperino alla vita di re Umberto I di Savoia ebbe a pagare duramente per quel gesto in un carcere disumano e stretto sotto il livello del mare

Giovanni Passannante, esasperato dalle condizioni di degrado instauratesi in seguito all'Unità d'Italia guidata dai Savoia, aveva attentato alla vita di re Umberto I (che rimase solo leggermente ferito), in visita a Napoli. Quando l'Italia si trovò riunita sotto i Savoia, per i contadini del Sud la speranza di riforme materiali si spense in breve tempo. Chi, all'epoca della spedizione dei garibaldini, aveva creduto nella rivoluzione contro i grandi latifondisti e nella redistribuzione delle terre, fu costretto a ricredersi. I bambini morivano, il nuovo Stato non dava scuole, le abitazioni erano tuguri, i braccianti vivevano in miseria. Passannante sacrificò per ideali la sua vita e quella della sua famiglia, che come ulteriore ritorsione fu interamente internata a vita in un manicomio criminale, dove moriranno successivamente. Il suo paese d’origine venne cambiato il nome da Salvia di Lucania a Savoia di Lucania. Sepolto vivo, decapitato e esposto il suo cervello e il suo teschio fino al 2007, profanato la sua tomba (2012).

Lo scopo del Passannante era dimostrativo, ovvero concentrare l'attenzione sulle condizioni sociali ed economiche presenti nel Sud peggiorate dall'arrivo del uovo stato e non migliorato. E poi se vogliamo dirla tutta, i mille ebbero il loro successo al Sud perchè portarono idee di repubblica universale, che puntualemete furono cancellate dopo l'impresa. I meridionali non avrebbero mai appoggiato i mille se avessero saputo di cambiare solamente re, e per giunta una casa dinastica non italiana. Ma merita rispetto perche fu un atto politico...le idee non si possono imprigionare...infatti Lui non è morto. Il 14 febbraio 1910 muore nel carcere di Montelupo Fiorentino Giovanni Passannante, cittadino di Salvia, oggi Savoia di Lucania, che il 17 Novembre del 1878 attentò alla vita del re Umberto I. Avendo conosciuto la miseria fin da bambino e dopo aver imparato a leggere e scrivere (quando il sud contava circa il 90% di analfabeti), non tardò a rendersi conto che il popolo era vittima di soprusi e di imposizioni che le classe sociali più abbienti si guardavano bene dal sopprimere. Capì cioè che quelle 400.000 persone, provenienti dalla nobiltà e dall’alta borghesia, alle quali era riconosciuto il diritto di voto, per 15 anni (1861-1876) avevano espresso un governo di destra che aveva accresciuto, anziché diminuito, le distanze fra Paese legale e Paese Reale. Si fece cioè interprete dei sentimenti che aleggiavano per le campagne dove i contadini sentirono il nuovo Stato Italiano come qualcosa di esterno, di lontano dai loro interessi, presente solo per quanto riguardava il fisco (aumenti delle imposte indirette) e la coscrizione obbligatoria.

Giovanni Passannante (Salvia di Lucania, 19 febbraio 1849 – Montelupo Fiorentino, 14 febbraio 1910) è stato un anarchico italiano. Nel 1878 fu autore di un attentato fallito alla vita di re Umberto I, il primo nella storia della dinastia Savoia. Condannato a morte, la pena gli fu commutata in ergastolo. La sua prigionia fu spietata e lo condusse alla follia, sollevando un enorme scandalo nel mondo politico italiano. Venne, in seguito, trasferito in manicomio, ove passò il resto della sua vita. A prescindere dal suo gesto, alcune idee di Passannante, benché da taluni giudicate nichiliste, entreranno a far parte della vita sociale italiana. Come punizione un'altra vicenda strettamente collegata al gesto di Passannante e' quella del cambio del nome del paese natio di Passannante, da Salvia di Lucania in Savoia di Lucania, accettata dagli amministratori dell'epoca, su imposizione della casa reale, per lavare l'onta. Nonostante cio' gli abitanti conservano, tuttora, la denominazione di salviani.

Nato a Salvia di Lucania da Pasquale e Maria Fiore, fu l'ultimo di dieci figli, quattro dei quali morti in tenera età. In paese era soprannominato "Cambio" ed aveva una mano storpia a causa di una scottatura nell'acqua bollente quando era ragazzino. Le difficili condizioni economiche della famiglia lo costrinsero ad elemosinare sin da bambino. Nato nel 1849, ha undici anni quando, compiuta l’unità del regno, comincia a verificarsi il fenomeno del brigantaggio politico. A Salvia non si avverte quel che succede, fra il 62 e il 65, a nord del capoluogo regionale. Il destino del ragazzo Passannante è segnato dall’estrema povertà della famiglia. Fino all’età di dieci anni andò pitoccando per le vie e le case di Salvia. La denutrizione ed i patimenti influirono sul fragile fisico del ragazzo. Perciò non fu bracciante, come i fratelli, ma guardiano di pecore e domestico. Solo che, mentre tutti in famiglia erano analfabeti, il piccolo Giovanni, fra i 14 e i 15 anni, frequenta seppur per breve tempo, la scuola elementare del Municipio. Desideroso di apprendere, poté frequentare solo la prima elementare, cercando di imparare a leggere e scrivere da sé. Questo è uno dei fatti determinanti della sua vita. Il ragazzo si rivela smanioso di apprendere e tale resterà, in una regione dove la media degli analfabeti supera l’87 per cento. In seguito, Passannante si recò a Vietri, lavorando come sguattero, e poi a Potenza, trovando impiego come lavapiatti presso l'albergo Croce di Savoia, ma venne licenziato, a detta del proprietario, per il suo carattere ribelle e perché passava il tempo a leggere libri e giornali, anche se l'anarchico negò, asserendo che si dedicava alla lettura durante il tempo libero e che si autolicenziò in quanto il suo datore, in quattro mesi di lavoro, non l'aveva mai pagato. A Potenza conobbe Giovanni Agoglia, ex capitano dell'esercito napoleonico e anch'egli originario di Salvia, il quale, notato l'interesse del ragazzo per gli studi, lo portò con sé a Salerno, assumendolo come domestico e assegnandogli un vitalizio per migliorare la sua istruzione. Passannante alternò la lettura della Bibbia a quella dei giornali e degli scritti di Giuseppe Mazzini. Inizialmente cattolico e fervente nelle pratiche religiose, si convertirà al culto evangelico ed abbandonerà le forme esteriori, anche se la fede in Dio rimarrà viva in lui. Passannante iniziò a frequentare circoli filomazziniani e conobbe Matteo Melillo, uno dei maggiori esponenti internazionalisti di Salerno. La frequentazione di associazioni repubblicane gli procurò i primi problemi con la legge. Nella notte tra il 15 e il 16 maggio del 1870 due guardie di pubblica sicurezza trovarono Passannante mentre stava affiggendo proclami rivoluzionari. Passannante, venuto a conoscenza di un'imminente insurrezione in Calabria contro il governo, tentò di incitare la popolazione salernitana a fare altrettanto. Il 1870 e' l’anno in cui muore l’ultimo, solitario, brigante lucano Antonio Cotugno (detto Culopizzuto, da Lagonegro) e in cui Roma diviene capitale. Passannante ha ormai 21 anni, ed a Salerno, dove risiede da circa 4 anni, ha continuato a leggere nei ritagli di tempo, ha acquistato libri, tra cui la bibbia, ma è stato soprattutto affascinato da Mazzini e dall’ideale repubblicano. I manifesti di Passannante erano un'invettiva contro le monarchie e il papato, inneggiando alla Repubblica, a Mazzini e Garibaldi (ad ogni modo, Passannante rivedrà, anni dopo, il suo pensiero sul condottiero nizzardo, accusandolo di simpatie verso la monarchia). Le guardie lo arrestarono con l'accusa di sovversione. Aveva con sé una copia de "Il popolo d'Italia", giornale mazziniano, che gli fu sequestrata. Per le guardie, come si legge nel rapporto, l’arrestato non può essere l’autore del proclama rivoluzionario, anche se non riescono a sapere da chi può averne ricevuto l’incarico. Perciò sarà arrestato anche il Melillo. La notizia che ha colpito Passannante è che in Calabria sarebbe in atto una rivolta contro il governo. Ritiene quindi giunto il momento di incitare il popolo di Salerno a fare altrettanto. Concepisce un manifesto che forse fa anche correggere da qualche amico, poi lo ricopia su fogli di carta rigata e passa all’azione.Il testo è breve ma denso:

Allarmi allarmi fratelli! Corriamo tutti sotto la bella bandiera repubblicana, ch’è governo del popolo eguaglianza di libertà e fraternità. Ma fuori dei beni di chicchessia. Dio e popolo. La repubblica vogliamo che abolirà le leve, abolirà la schiavitù e abolirà le gravose imposte. Alleanza Repubblicana Universale. Corriamo a rinforzare i nostri fratelli di Calabria e saremo vittoriosi e per sempre liberi. Gridiamo unanimi per tutta l’Italia che vogliamo la Repubblica E gridiamo pure morte e distruzione a tutte le tirannidi, Re papa Imperatori e Consorti. Allarmi allarmi cittadini svegliamoci dal sonno e non facciamo i poltroni.Corriamo per sempre. Allarmi. Finchè coraggio e forza ci vuole e saremo liberi.Corriamo Allarmi.Evviva la Repubblica!Viva Mazzini!Viva Garibaldi!Viva i fratelli di Calabria.

Fu trattenuto in carcere per tre mesi. Secondo la deposizione di un inquilino che abitava nello stesso palazzo di Passannante, questi stava imparando il francese e progettava l'assassinio di Napoleone III, accusandolo di essere «la causa di impedimento all'attuazione della Repubblica Universale». Uscito di prigione e tenuto sotto sorveglianza dalla prefettura di Salerno, tornò brevemente presso la famiglia a Salvia. Si sposta a Potenza, apprendista cuoco nella trattoria “Croce di Savoia”. Il proprietario dichiarerà (al processo del 79’): “Lo tenni al mio servizio per circa tre mesi, poi fui costretto a licenziarlo, perché mi accorsi che il medesimo era di temperamento alquanto arrogante, e invece di fare il proprio dovere nella cucina perdeva del tempo a leggere i giornali. Ripresolo un giorno mi disse che ogni uomo deve avere la sua inclinazione, e che io inclinato a raccogliere denaro, ed egli invece a leggere i giornali; e poiché volevo bastonarlo fece osservare che avevo il diritto di licenziarlo, ma non di bastonarlo”. A Potenza resta ancora per alcuni mesi. Di qui il 19 marzo del ’71 indirizza gli auguri onomastici a Mazzini e Garibaldi. L’anno seguente è a Salerno, dove resterà circa 6 anni, fino alla tappa conclusiva dell’attentato napoletano. A Salerno, trovò impiego come cuoco presso la fabbrica dei tessuti degli Svizzeri. Si licenziò e aprì un locale, La Trattoria del Popolo, in cui elargiva spesso pasti gratuiti; il ristorante venne chiuso nel dicembre del 1877. Orientatosi verso le idee anarchiche, si iscrisse alla Società Operaia di Pellezzano, che lasciò, in seguito, per contrasti con gli amministratori; entrò poi alla Società di Mutuo Soccorso degli Operai e grazie al suo attivismo i membri passarono da 80 a 200; Passannante lasciò anche questa organizzazione per gli stessi motivi. Nel giugno 1878 si trasferì a Napoli, dove visse alla giornata cambiando diversi datori di lavoro.

Il fatale 1878, in cui Passannante si trasferisce a Napoli, arriva mentre Cafiero, nel carcere di S.Maria Capua Vetere, sta scrivendo il Compendio al “Capitale” di Marx. Fatale il 1878 si segnala ben presto, con le morti di Vittorio Emanuele II e di papa Pio IX. Si apre, riconoscono gli storici, un’epoca nuova, mentre la sinistra al potere sta facendo le sue, e non tutte convincenti, prove. Nel giuramento del nuovo re Umberto I sono aggiunte le parole”innanzi alla nazione”. Fra i segni dell’epoca nuova fa spicco la trasformazione della vita di corte, con ricevimenti fastosi ed affollati. E’ un anno che si registrano diversi attentati:in Russia , Germania, Spagna. Da noi i nuovi regnanti , dopo il semestre di lutto, danno inizio ad un giro per il paese. Nella prima tappa, a la Spezia, il varo del Dandolo non riesce, ma a Bologna la regina Margherita riesce ad ottenere la prima “conversione” del Carducci. In agosto si svolge a Benevento il processo contro la banda del Matese. Una settimana dopo che sul monte Amiata il profeta Davide Lazzaretti e tre suoi seguaci sono caduti in un assurdo conflitto con la polizia, Cafiero e i suoi compagni sono assolti tra l’esultanza popolare. La permanenza di Passannante a Napoli data appena da maggio. La ricerca di un lavoro soddisfacente, in cinque mesi cambia quattro padroni, non gli consente di fare amicizie. D’altra parte nel tempo libero proprio in questo periodo pensa a scrivere. Dopo l’arresto sono trovati nel suo alloggio un opuscolo di 24 pagine (“ricordo per l’ avvenire al popolo universale”), uno statuto per la “repubblica universale”, un breve inno rivoluzionario, una lettera (tre pagine) a Victor Hugo. Scritti, come s’immagina, poveri ma in cui i soggetti essenziali non mancano di forza e logica. Passannante condivide il parere che gli ideali del Risorgimento siano stati traditi, e più ardua si è fatta la ricerca della pace, del lavoro, della libertà. Per lui la tassa sul macinato è un delitto. Occorre la Repubblica. Ammonisce gli operai, suoi ipotetici lettori “la storia ci mostra il nostro triste cammino, siamo stati traditi,ingannati e trascinati in tutte le epoche, ora dagli uni ora dagli altri”. E’ attento alla libertà di stampa che, sostiene, non deve essere pagata dal governo; richiama i modelli inglesi e l’insegnamento di Mazzini. Il tentativo di regicidio, tipico atto di certo rivoluzionarismo anarchicheggiante e individualista, matura in poche ore in una Napoli che si prepara ai grandi festeggiamenti per l’arrivo dei reali. Quel 17 novembre, ha narrato U. Alfassio Grimaldi, “ pur essendo una giornata grigia, l’entusiasmo scoppia a Napoli: alla vista dei reali: i partenopei dimenticano la discussione avvenuta in consiglio comunale sul passivo che sarebbe derivato dalla spesa per il ricevimento.

Il re d' Italia, Umberto I, alla morte del padre, accompagnato dalla moglie Margherita e dal figlio (il futuro re Vittorio Emanuele III), preparò un viaggio nelle maggiori città italiane per potersi mostrare al popolo. Nei giorni antecedenti al fatto vi furono diverse proteste di matrice internazionalista nella città partenopea, represse dalle autorità. Un comizio tenuto dall'operaia femminista Annita Lanzara e dai tipografi internazionalisti Luigi Felicò e Taddeo Ricciardi venne interrotto dall'ispettore di pubblica sicurezza. Alcuni partecipanti come Pietro Cesare Ceccarelli, Francesco Saverio Merlino, Francesco Gastaldi, Giovanni Maggi e Saverio Salzano vennero arrestati mentre distribuivano volantini rivoluzionari. L’ideologia repubblicana andò maturando in lui sempre più perché la sentiva più vicina al popolo e ai suoi bisogni. Si rendeva conto che il popolo, solo e indifeso, era vittima di soprusi e imposizioni. Le idee liberali del Risorgimento non si erano concretizzate, l’unificazione non aveva portato affatto quel benessere in cui il popolo sperava. Era necessario cambiare forma di governo ed era necessario un gesto, un esempio che doveva richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica. Scesi dal treno proveniente da Bari, il 17 novembre 1878, la famiglia regnante, assieme al primo ministro Benedetto Cairoli, era in visita a Napoli. Venne preparata un'accoglienza sfarzosa, nonostante le polemiche avutesi in consiglio comunale sulle spese elevate per il ricevimento reale.

Dal treno i sovrani scendono su un tappeto dipinto da Domenico Morelli, la regina non vorrebbe profanarlo calpestandolo, ma l’assicurano che l’opera d’arte non ne soffrirà. Per lei c’è un mazzo di fiori in un grande vaso di bronzo c’a è frutto d’una sottoscrizione fatta nei quartieri più poveri, alla quota fissa di un soldo a testa”. Questa sottoscrizione dei ceti indigenti in una grande città, determina in Passannante la volontà di un gesto clamoroso (come ribadiranno tra poco i periti medici che esaminano l’attentatore. L’accaduto è comprensibile, dicono i medici, tenendo conto che la mente dell’umile cuoco lucano è “ preoccupata dai bisogni che oggi agitano le masse, e da idee che fermentano in certe classi della società, ove producono quelle scelte che mirano a rovesciare dalle fondamenta l’attuale ordine delle cose, com’è l’Internazionale; troviamo la pretesa di sciogliere le questioni più ardenti con rimedi in massima parte inattuabili e utopistici”). La preparazione del gesto clamoroso dura due giorni. Fa tutto da solo, come si dovrà ammettere in seguito: acquisto di un coltello e di un pezzo di stoffa rossa per farne una bandiera, su cui cuce il motto: “ morte ai Re. Viva la Repubblica Universale. Viva Orsini. Il giorno prima ha lavorato regolarmente, e la mattina del 17 gira in città curiosando. La folla festosa lo rafforza nel proposito.

Il 17 novembre 1878, alle ore 14,25 la carrozza nella quale viaggia il re, unitamente alla regina Margherita e Benedetto Cairoli, percorre il tratto di strada che conduce dalla stazione ferroviaria al Palazzo Reale. Quando il corteo giunse all'altezza del "Largo della Carriera Grande" nel mezzo di un pubblico festante, tante persone, in particolare donne, si dirigevano verso la carrozza per porgere suppliche. Passannante era tra gli astanti, attendendo il momento opportuno per avvicinarsi alla carrozza del sovrano, che incedeva lentamente nella piazza. Giunto il suo momento, l'attentatore sbucò all'improvviso dalla folla, salì sul predellino, scoprì un coltello, che teneva avvolto in uno straccio rosso, e tentò di accoltellare il monarca urlando: «Viva Orsini! Viva la Repubblica Universale!».

- “Sua maestà, in carrozza insieme con la regina Margherita, stava attraversando Napoli quand’ecco un uomo, male in arnese, sottile di persona, brutto di volto, feroce negli occhi, avente la mano avvolta in un panno rosso, si slanciò dalla folla allo sportello della carrozza; saltò sullo scalino del “montatorio” e cercò con un coltello di colpire il re” (Felice Venosta , Umberto I re D’Italia. Cenni biografici con documenti).

Il re riuscì a difendersi, rimanendo leggermente ferito al braccio sinistro. La regina lanciò in faccia all'aggressore il mazzo di fiori che aveva in grembo e avrebbe urlato: «Cairoli, salvi il re». Cairoli afferrò l'attentatore per i capelli ma venne ferito da un taglio alla coscia destra, una ferita non grave nonostante l'abbondante sangue versato. Accorsero subito i corazzieri e il loro capitano Stefano De Giovannini colpì l'anarchico con un fendente alla testa: l'attentatore venne subito tratto in arresto. La folla circostante, vedendo un uomo ferito condotto via, non si accorse immediatamente del fallito assassinio e pensò che Passannante fosse stato investito dalla carrozza reale: non vi fu quindi alcun tentativo di linciaggio. Il tutto si compì in un tempo così breve che le altre carrozze vicine a quella reale non dovettero mai fermare la loro marcia.

Sanguinante per le ferite alla testa, non venne accompagnato in ospedale per essere medicato e subì altre sevizie e fu sottoposto a crudeli torture perchè sveli un'inesistente congiura contro il regno sabaudo. Passannante aveva allora 29 anni e faceva di professione il cuoco. Affermò di aver agito da solo, di aver escogitato l'attentato due giorni prima e negò di appartenere ad alcuna organizzazione politica. Aveva compiuto il suo gesto con un coltello avente una lama di 4 cm che aveva ottenuto barattandolo con la sua giacca. Nel fazzoletto rosso in cui aveva nascosto l'arma, Passannante aveva scritto: «Morte al Re, viva la Repubblica Universale, viva Orsini». Al momento dell'arresto, gli furono sequestrati i documenti: uno di questi era una lettera, che Passannante definì il suo «testamento», indirizzata ad un tale don Giovannino, in cui lo pregava di elargire i suoi miseri averi ad alcune persone. L'attentato provocò nella regina Margherita un forte shock, anche se durante la sfilata cercò di mantenere un atteggiamento calmo e sorridente. Tornata alla reggia, si sentì male ed esclamò: «Si è rotto l'incantesimo di Casa Savoia!».

Il giorno dopo il re fu visitato da numerosi esponenti della nobiltà e della politica meridionale, tra questi i lucani Ascanio Branca, Salvatore Correale e Giuseppe Imperatrice, che espressero rincrescimento per il fatto che Passannante fosse un loro corregionale. Il re li rincuorò, promettendo di fare una visita in Basilicata il prima possibile. La parola verrà mantenuta e la coppia reale soggiornerà a Potenza tra il 25 e il 27 gennaio 1881. L'attentato sconvolse il regno intero e produsse opposti sentimenti da una parte, con cortei di protesta solidali nei confronti del Re, cui si contrapposero coloro che invece elogiarono l'attentatore. La notizia si è diffusa in seguito, dando luogo a grandi manifestazioni, mentre i dispacci telegrafici la rendevano nota ovunque. I giornali riferiranno l’indomani che una manifestazione non è mancata nel capoluogo lucano: “una numerosa manifestazione percorse ieri le vie al grido di viva il re e la regina, protestando contro l’indegno figlio della Basilicata che ha attentato alla vita del giovane sovrano”.

Il giorno successivo, a Firenze, venne lanciata una bomba contro un corteo monarchico: due uomini e una bambina restarono uccisi e una decina di persone furono ferite. Si attribuì la tragedia agli internazionalisti e vennero arrestati diversi esponenti del movimento, che verranno poi scarcerati per mancanza di prove. Uno di loro, Cesare Batacchi, verrà graziato solo il 14 maggio 1900. Secondo alcuni, l'arresto di Batacchi e degli altri internazionalisti sarebbe stato una strumentalizzazione poliziesca per reprimere le associazioni avverse alla monarchia. A Pisa, un'altra bomba venne fatta esplodere durante una manifestazione a favore del re, ma non si registrarono vittime. Venne arrestato un tale Pietro Orsolini, che, nonostante diverse prove di innocenza, morì nel carcere di Lucca nel 1887. La notte del 18 novembre venne assalita una caserma a Pesaro con un deposito di 5000 fucili: un internazionalista fu arrestato. Si registrarono sommosse in tutta la nazione e il governo, che temeva un complotto anarchico contro la corona, intervenne con un'opera di repressione. L’attentato di Passannante fu sfruttato dai reazionari di quell’epoca contro la fiorente Internazionale. Nell’atto di un singolo si volle vedere il complotto; e per dare consistenza agli armeggi della polizia, fu fatto passare il Passannante per anarchico, mentre non era che un repubblicano, e furono fatte scoppiare dalla polizia delle bombe addomesticate, ove più fiorenti erano le Sezioni dell’Internazionale, per poter avere il pretesto di fare degli arresti in massa, in onore e per la gloria della gloriosa stirpe sabauda. Vi furono scontri con le forze dell'ordine in città come Bologna, Genova, Pesaro e molte persone vennero arrestate al solo elogio verso l'attentatore o alla sola denigrazione nei confronti del re, come accadde a Torino, Città di Castello, Milano, Guglionesi, La Spezia e Bologna. All'agitazione che scuote il Paese si tenta di fare fronte con una pesante opera di repressione che investì l'intero territorio italiano: la magistratura istruisce circa 140 processi contro appartenenti a circoli anarchici.

Il poeta Giovanni Pascoli, intervenendo in una riunione di aderenti ad ambienti socialisti a Bologna, diede pubblica lettura di una sua Ode a Passannante. Subito dopo la lettura, Pascoli distrusse l'ode e di tale componimento si conosce solo il contenuto dei versi conclusivi, di cui è stata tramandata la parafrasi: «Colla berretta d'un cuoco, faremo una bandiera». Sull'esistenza dell'ode non esistono fonti concrete, anche se Gian Battista Lolli, segretario della federazione socialista di Bologna e amico di Pascoli, sostenne di aver assistito alla lettura ed attribuì al poeta la composizione dell'opera. Pascoli, in seguito, verrà arrestato per aver manifestato a favore degli anarchici che erano stati a loro volta tratti in arresto per i disordini generati dalla condanna di Passannante. Durante il loro processo, il poeta urlò: «Se questi sono i malfattori, evviva i malfattori!». Paul Brousse, direttore del giornale anarchico L'Avant-Garde di Neuchâtel, pubblicò sulla propria testata un articolo apologetico su Passannante ed altri attentatori come Juan Oliva Moncasi, Max Hödel e Karl Nobiling. Il paragrafo presenta l'anarchico lucano con simpatia e ammirazione, arrivando a definirlo «una natura energica». La pubblicazione generò polemiche e la Svizzera, asilo politico di numerosi anarchici, ricevette accuse di essere un focolaio di cospirazione antimonarchica a livello internazionale. I sovrani d'Italia, Germania, Russia e Spagna fecero pressioni sul governo svizzero affinché invalidasse l'attività del giornale per non turbare i rapporti diplomatici. Così L'Avant-Garde fu soppresso, Brousse venne arrestato ed espulso dalla Svizzera. Durante il processo, Brousse si rifiutò di nominare l'autore dell'articolo, il quale, secondo alcune voci, sarebbe l'anarchico Carlo Cafiero, che si trovava in Svizzera in quel periodo.

Pochi giorni dopo il tentato regicidio, in Parlamento la condanna dell'attentato fu unanime ma il governo Cairoli fu attaccato dalla destra e da una parte della sinistra, con l'accusa di incapacità nel tutelare l'ordine pubblico e di eccessiva tolleranza nei confronti delle associazioni internazionaliste e repubblicane. L'11 dicembre 1878, il ministro Guido Baccelli presentò una mozione di fiducia al governo, che fu respinta con 263 voti contrari, 189 favorevoli e cinque astenuti, costringendo Cairoli a rassegnare le dimissioni. La notizia dell'attentato fece il giro d' Europa ed anche in questo caso vi furono opinioni opposte. Alcuni organi di stampa (italiani e stranieri) condannarono l'attentatore rivolgendogli diverse accuse, alcune persino prive di fondamento o puramente inventate. Il Republique Française di Parigi indicò la Chiesa e gli ex regnanti borbonici come mandanti del tentato regicidio; L'Arena di Verona e il Corriere della Sera di Milano lo definirono un brigante che, in passato, aveva ucciso una donna mentre, in una litografia pubblicata a Torino, venne riportato che il padre di Passannante era un camorrista e che suo figlio fu educato con sentimenti di odio e di disprezzo per la libertà italiana. Il quotidiano La Stampa scrisse che Passannante era già stato rinchiuso in passato a Rocca d'Anfo e nel forte di Fenestrelle, descrivendolo come un «omiciattolo cachettico, smilzo, butterato dal vaiolo». Altri giornali espressero opinioni differenti; il tedesco Koelnische Zeitung auspicò che l'attentato servisse come monito allo Stato italiano per comprendere meglio i bisogni del ceto subalterno; l'inglese Daily News vide nel malcontento e nella miseria i fattori che spinsero l'anarchico ad armarsi mentre il Satana di Cesena (che verrà soppresso con l'accusa di propaganda contro il re e le istituzioni) non lo considerò un assassino ma un «infelice affascinato» dei mali che turbarono la società del tempo. L'economista belga Émile de Laveleye vide nel gesto di Passannante un «avvertimento», un attentato non rivolto al re, ma alla monarchia, «non la monarchia come istituzione politica, ma come simbolo dell'ineguaglianza sociale». Il gesto di Passannante spinse, tuttavia, il monarca nel garantire alcuni sussidi al popolo e in comuni come Torre Annunziata, Castel di Sangro, San Buono vennero distribuiti, gratuitamente, cibo e abiti ai più poveri. Alcuni repubblicani presero le distanze da Passannante e mandarono felicitazioni al re, come Aurelio Saffi (in passato triumviro della Repubblica Romana, con Mazzini e Carlo Armellini) e Alberto Mario, secondo quest'ultimo un tale gesto «accresce la miseria arruffandone il problema». Fu informato dell'accaduto anche Francesco II, sovrano del decaduto regno delle Due Sicilie, in quel momento in esilio a Parigi. Francesco II deplorò l'attentatore, definendo la Basilicata «paesi cattivi: un nido di socialisti... di socialisti, non esattamente, più precisamente di comunisti partigiani!». Infine aggiunse: «la nostra vita è solo nelle mani di Dio» e «Dio non vuole che gli assassini riescano».

Anche Giuseppe Garibaldi seppe della notizia. Il 21 novembre 1878 inviò un telegramma di buon auspicio a Cairoli (che era un ex-camicia rossa) e al re Umberto I. Qualche giorno dopo, Garibaldi indirizzò una lettera al giornale Capitale in cui scrisse riguardo all'attentato che «Il malessere politico non è altro che una conseguenza dei pessimi governi e questi sono i veri creatori dell'assassinio e del regicidio» e nel 1880, in una lettera al repubblicano francese Félix Pyat, definì Passannante un «precursore dell'avvenire», una dichiarazione che susciterà polemiche. Il 28 dicembre, il giornale Roma pubblicò un manoscritto dell'anarchico intitolato "Ricordo per l'avvenire al popolo universale", dove espose la sua visione di società egualitaria, il disprezzo verso la Monarchia, e la promozione di assistenza economica per le fasce deboli come donne incinte, anziani e ammalati. La sua richiesta di beneficio sociale fu originale per l'epoca, basti pensare che bisognerà aspettare circa un secolo per vedere realizzata la legge "Tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri" del 1950, che sino alla promulgazione della nuova legge del 1971, escludeva le madri artigiane, mezzadre e commercianti. Accanto alla pubblicazione, il quotidiano, benché di ideali simili all'attentatore, derise il documento e definì Passannante «un nuovo legislatore». La sera stessa dell'attentato Giuseppe Zanardelli, allora ministro dell'Interno, informò tutte le prefetture del regno sull'accaduto. Il prefetto di Potenza ricevette l'ordine di perquisire l'abitazione dei parenti e di chiunque avesse avuto rapporti con Passannante, inviando i carabinieri a Salvia. Nella casa dell'anarchico furono trovati una stampa de La Marsigliese e una copia del giornale La Nuova Basilicata datato 1871 contenente notizie sulla Comune di Parigi. Vennero perquisiti tutti i luoghi riconducibili all'attentatore ma i carabinieri annotarono, nel loro rapporto, di non aver trovato nulla di criminoso.

Giovanni Parrella, sindaco di Salvia, il quale dovette prelevare denaro dalle casse comunali per affittare un abito adeguato per l'incontro, si recò a Napoli per porgere le sue scuse e chiedere perdono ad Umberto I, il quale le accettò dicendogli: «gli assassini non hanno patria». Fu, in seguito, ricevuto dai consiglieri del monarca che, per ottenere la clemenza, gli imposero il cambiamento di nome della città d'origine dell'anarchico, rinominandola con l'attuale nome Savoia di Lucania. Il sindaco accettò senza discutere e il comune cambiò toponimo con regio decreto il 3 luglio 1879. Così, dopo19 anni, il nome Savoia torna ad indicare un lembo di terra nazionale: come si ricorderà nel 1860 la Savoia, culla della casa reale e parte del regno Sabaudo è stata ceduta alla Francia insieme con Nizza, a compenso del riconoscimento della nazione amica delle annessioni nell’Italia centrale. La Savoia era una regione di circa 11.000 kmq e il comune lucano dispone di soli 32kmq. Ma da allora è l’unica zona nazionale che si chiami Savoia dove peraltro nessun rappresentante della corona si recherà mai. Il cambio di nome fu oggetto di discussione da parte di alcuni, ad esempio il meridionalista Giustino Fortunato che, nel 1913, dirà: «Io non so rassegnarmi che un così bel nome sia andato capricciosamente cancellato!».

L'intera famiglia dell'attentatore, composta dalla madre settantaseienne, due fratelli e tre sorelle - colpevoli solo d'essere consanguinei del Passannante fu dichiarata folle e furono arrestati già il giorno dopo l'attentato e condotti nel manicomio criminale di Aversa dove restano internati fino alla morte. Solo il fratello Pasquale riesce a fuggire. Parenti e omonimi del Passannante devono lasciare il paese trasferendosi nei paesi limitrofi. Si saprà, in seguito, che il padre defunto, che aveva perso i genitori a 9 anni, soffrì di convulsioni che cessarono con l'età ed ebbe solamente problemi di artrite reumatica; la madre, settantaduenne, aveva tremori ed era affetta da neuropatia. Secondo il direttore del manicomio, Gaspare Virgilio, le condizioni di salute dei genitori ebbero effetti degenerativi sui figli. Per Virgilio, Passannante era «semipazzo», «imbecille» e ritenne che «fosse la mano di un uomo non sano quella che si armò per immolare il figlio di colui che per antonomasia fu detto il Galantuomo».

Oltre a Passannante, il 18 novembre 1878 vennero arrestati con l'accusa di essere complici Matteo Maria Melillo, Tommaso Schettino, Elviro Ciccarese e Felice D'Amato ma verranno scarcerati l'anno successivo per insufficienza di prove. Numerose persone furono interrogate e tacciate di essere in combutta con l'anarchico ma i regi carabinieri e i giudici non riuscirono a trovare testimonianze concrete. La mattina del 19 novembre, Passannante fu portato nel carcere di San Francesco, rinchiuso in una cella di isolamento. Mostrò sempre un atteggiamento calmo e impassibile, anche se in alcune occasioni si lasciò andare al pianto. Sottoposto ad esami psichiatrici, risultò sano di mente. Cesare Lombroso instaurò una polemica con i periti convinto della pazzia dell'anarchico (anche se mai lo visitò personalmente); gli rispose il medico Augusto Tamburrini, che difese la validità della perizia.

Gli psichiatri Biffi e Tamburini, incaricati della perizia al processo, dichiararono:

«Noi abbiamo esaminato attentamente le qualità psichiche del prevenuto e noi non vi abbiamo trovato nulla di anormale. L’attività produttiva della mente è in lui regolare; le espressioni di cui si serve non sono come comporterebbe la sua condizione sociale; le sue idee sono elevate e rivelano una cultura superiore. Le sue risposte denotano in lui una finezza ed una forza di pensiero non comune. Interrogato s’egli si credeva in diritto di fare violenza ai sentimenti della maggioranza, e di turbarne la tranquillità, ha risposto: “La maggioranza che si rassegna è colpevole e la minoranza ha il diritto di resisterle”.

Alla nostra domanda come mai lui, povero cuoco, aveva la presunzione di volere scrivere degli opuscoli, rispose: “Sovente gli ignoranti riescono là ove i sapienti inciampano”.

I sentimenti affettivi, quello del dovere soprattutto, sono in Giovanni Passannante pronunciatissimi. Lo studio della sua vita anteriore non ci ha rivelato neppure un atto di disonestà. Infine egli ha volontà ferma, parola sicura, tagliente, che riflette fedelmente il suo pensiero. Ha una fisionomia dolce, sorridente qualche volta, ed ha un comportamento energico. Interrogato se egli approvava che per la sua difesa lo si facesse passare per pazzo, rispose: “Io non temo punto la morte; non voglio passare per pazzo; sacrifico volentieri la mia vita ai miei principi”.

Soggetto ad un lungo interrogatorio, Passannante non si definì né socialista né internazionalista e si proclamò solo un sostenitore della repubblica universale. Nutriva risentimento verso i liberali che parteciparono ai moti risorgimentali e che, a sua detta, tradirono i loro ideali per ricoprire ruoli importanti ed arricchirsi, oltre ad asserire che il movente del suo gesto era causato dalla miseria e dalle tasse. Dichiarò di non aver nulla di personale contro Umberto I, ma rancore verso tutti i monarchi.

Il 6 e il 7 marzo 1879, davanti ad una folla gremita, venne effettuato il processo e la sua difesa fu affidata all'avvocato Leopoldo Tarantini. La nomina della giuria fu oggetto di controversie e, anni dopo, l'anarchico Luigi Galleani dirà che la loro estrazione fu «un oltraggio alle norme e alle consuetudini giudiziarie». Anche l'attività di Tarantini fu criticata dalle fazioni anarchiche e repubblicane: Francesco Saverio Merlino definì l'avvocato «un secondo accusatore, che andò a prendere ordini a Roma prima di invocare per lui la clemenza reale»; per Galleani, Passannante è «abbandonato al carnefice dal suo avvocato» mentre un giornalista anonimo della Rivista repubblicana considerò il suo operato una «difesa sconclusionata ed infelice».

Nel processo farsa, si cerca a tutti i costi una cospirazione contro i savoia, si cerca di far passare Passannante per pazzo, lo si definisce anarchico e appartenente all'Internazionale, ma le sue dichiarazioni fugano ogni dubbio: “Non sono né internazionalista, né socialista. Non capisco anzi che cosa significhino le parole internazionalismo e socialismo. Il mio ideale è la Repubblica Universale”. Il coltellino venne definito "buono solo per sbucciare le mele", come aveva dichiarato al processo il proprietario del negozio ove Passannante aveva ottenuto l'arma barattandola con la sua giacca. Terminato il processo, il procuratore generale Francesco La Francesca chiese l'applicazione della condanna a morte, benché solo un anno prima avesse scritto un opuscolo sull'abolizione della pena capitale, tanto da essere premiato da Pietro II, imperatore del Brasile. Il processo si concluse con la condanna a morte, sebbene il codice penale prevedesse la pena capitale solo in caso di morte del re e non di ferimento. Merlino riporterà anni dopo, nella sua opera L'Italia quale è, la confessione di un magistrato, in cui sostenne che quattro giurati votarono per l'assoluzione e cinque per le attenuanti ma non fu concessa né l'una né le altre.

La sentenza capitale suscitò le proteste degli internazionalisti e sorsero iniziative a favore di Passannante. Errico Malatesta e Francesco Ginnasi furono autori di un manifesto pieno di invettive contro il re, redatto a Ginevra e diffuso in Italia. Le copie furono sequestrate, mentre Malatesta e Ginnasi furono costretti alla fuga. Il ministro di giustizia Diego Tajani, in passato avvocato che si batté per la clemenza di Giovanni Nicotera, condannato a morte e poi perdonato da Ferdinando II di Borbone per i fatti della Spedizione di Sapri (1857), si schierò, invece, contro la grazia di Passannante. Anche gli organi di stampa si divisero: il Piccolo di Napoli invocò la commiserazione, mentre la Perseveranza di Milano sostenne l'esecuzione capitale. Tarantini fece ricorso in Cassazione che venne rigettato. Lo stesso Passannante era contrario: egli non cercava la grazia poiché, secondo le sue parole, non avrebbe portato alcun vantaggio alla sua causa mentre la morte l'avrebbe reso un "martire politico" e avrebbe giovato alla rivoluzione. Dopo il diniego della Cassazione, l'avvocato preparò una domanda di grazia da consegnare al re, ultima alternativa rimasta. Con Regio Decreto del 29 marzo 1879, Umberto I concesse la grazia a Passannante, commutando la pena in quella dei lavori forzati a vita. Il re firmò il decreto di motu proprio, dicendo al ministro di giustizia: «Ho deciso di far grazia a Passannante: egli era un povero illuso». La notizia della clemenza sovrana fece il giro d'Italia e venne accolta positivamente da gran parte dell'opinione pubblica e della stampa. A grazia ricevuta l'anarchico, benché avesse ringraziato il re, aveva scritto una lettera in cui lo considerava ancora un suo "nemico"; la missiva, però, venne sequestrata dal direttore del carcere. Per crudeltà maggiore, il condannato è salvato dal patibolo solo per farlo morire cento volte al giorno nelle tetre segrete della Prigioni. Nonostante che l’attentato fosse qualificabile come un atto politico, fu qualificato, dal punto di vista penalistico,come un fatto delinquenziale di “seconda categoria” e quindi anche il suo autore come un delinquente comune. Alla luce di questa classificazione avrebbe dovuto scontare la pena, secondo il Codice di Procedura Penale dell’epoca, nel luogo dove aveva commesso il reato. Invece fu imbarcato su di una nave e condotto nel carcere di Portofferraio dove visse in condizioni di incredibile disumanità.

Passannante sconterà la pena a Portoferraio, nella Torre della Linguella sull'isola d'Elba. Nella notte del 30 Passanante lascia Napoli e, sotto scorta, fu imbarcato sul piroscafo "Laguna" diretto a Portoferraio. Passannante viene imbarcato su una piccola nave della Marina Militare, la «Laguna», che dall'Arsenale di Napoli salpa per Portoferraio; nella cittadina elbana si sa dell’arrivo di Passannante già dalla sera precedente, e le autorità politiche, la Direzione, gli impiegati e i guardiani dei Bagni Penali trascorrono la nottata «in una vigilante aspettativa». Nel frattempo, i reclusi dei Bagni – perlopiù di origine napoletana – vengono spostati nel Forte Inglese di Portoferraio, la loro abituale residenza notturna. La nave giunge a Portoferraio la sera del 31 marzo 1879, intorno alle 20.00; il sottoprefetto sale a bordo e riceve in consegna Passannante, che siede ammanettato nel fondo del piroscafo, mostrandosi «annoiato di quella posizione». Viene così ammagliato con una rete, portato sulla coperta della nave e condotto dai carabinieri alla Torre della Linguella; vedendo molte imbarcazioni colme di osservatori, Passannante chiede cosa stiano facendo; saputo che sono lì per vedere lui, ne ride «del suo solito riso». Il sottoprefetto, giunto ai Bagni Penali, consegna il detenuto alla Direzione; Passannante fornisce tranquillamente le proprie generalità, saluta e ringrazia i carabinieri che lo hanno scortato. Vestiti gli abiti da galeotto, gli viene legata una catena pesante 18 chili, assicurata al muro con un anello, ed altre maglie gli cingono i fianchi; impallidisce, piange ed esclama «Napoli mia, cara Napoli, è per il bene che ti ho voluto che mi si mettono le catene!» Poco dopo sviene; si riprende, rifiuta il cibo e si chiude nel proprio silenzio. La mattina seguente, 1 aprile, chiede di parlare con il direttore, e dopo il colloquio si presenta ancora più tranquillo e rassegnato.

Arrivato a Portoferraio, Passannante venne condotto nella prigione della Torre della Linguella (nota anche come Torre del Martello e in seguito ribattezzata Torre di Passannante). E' segregato in una cella più bassa della sua altezza, Passannante era alto circa 1,60 m, la cella era alta solo 1,40 m, situata al di sotto del livello dell'acqua, ciò lo costringe a stare necessariamente disteso per terra o in piedi ma curvo sulla schiena. La cella era piccolissima, umida, buia, senza servizi igienici cioe' priva di latrina e posta sotto il livello del mare. Il pavimento, in terra battuta, permetteva l'infiltrazione di acqua marina, provocando nell'ambiente condizioni di insalubrità. Attaccato ad una corta catena di 18 chilogrammi, che gli consentiva di fare solo due o tre passi, e in completo isolamento, non poté ricevere visite e lettere. Il Corriere dell'Elba (3 aprile 1879) così scrive: «La cella angusta e la corta catena non permettono a Passannante di fare che due o tre passi. Ivi sarà tenuto per qualche tempo, dipoi sarà posto insieme agli altri a subire la vera pena della galera, ben diversa dalla segregazione cellulare». Nonostante il Corriere dell'Elba avesse annunciato che in quella gabbia angusta «sarà tenuto per qualche tempo, dipoi sarà posto insieme agli altri a subire la vera pena della galera», in realtà Passannante visse in quelle condizioni per 10 anni. Con il passare del tempo tale detenzione influì sulla sua salute, sia mentale che fisica. Si ammalò di scorbuto, fu colpito dalla taenia, perse i peli del corpo, la pelle si scolorì, le palpebre si rovesciarono sugli occhi, le guance si vuotarono e si gonfiarono e, secondo alcune testimonianze, arrivò a cibarsi dei propri escrementi. I barcaioli che passavano nelle vicinanze della torre udivano spesso le urla di strazio del detenuto. Dopo due anni, i carcerieri lo fecero salire al di sopra del livello del mare, ma le condizioni di vita rimasero immutate senza dargli possibilità alcuna di vedere un lembo di cielo, a una cella superiore. Là resta rinchiuso giorno e notte senza interruzione. Non riceve, mai, né lettere né visite.

Nel frattempo, in città come Roma e Ancona furono mosse manifestazioni a favore dell'anarchico. Paul Brousse, in esilio a Londra dopo l'articolo elogiativo su Passannante, propose una raccolta di denaro per attenuare la pena dell'anarchico o persino di preparare un'eventuale fuga. Si tentò di coinvolgere anche gli internazionalisti francesi e tedeschi ma l'iniziativa non venne mai concretizzata. Ad Alessandria d'Egitto, venne costituito il Gruppo Passannante, presieduto dall'internazionalista pisano Oreste Falleri, ex garibaldino fuggito in Egitto a causa delle persecuzioni antirepubblicane.

Un deputato del parlamento, Agostino Bertani Medico chirurgo, di idee mazziniane (Contribuì attivamente all'organizzazione delle Cinque giornate di Milano e delle imprese di Garibaldi. Compilò il Codice Sanitario italiano) dopo l'Unità promosse un'inchiesta sulla situazione igienicosanitaria del neonato Regno. L'onorevole Agostino Bertani, che incontrò l'anarchico già dopo il suo arresto nel 1879, dopo un lungo diverbio con il ministero, ottenne il permesso di recarsi a Portoferraio per visitarlo una seconda volta, accompagnato dalla giornalista Anna Maria Mozzoni. Nel 1885 il deputato radicale e la giornalista giunsero alla fortezza. All'on. Bertani che, a seguito di insistenze, minacce e dispacci col ministero, dopo due anni dalla sua prima richiesta riesce a forzare la consegna: ottiene il permesso di guardare il prigioniero da un buco della porta, a condizione assoluta di non parlare, perché il prigioniero non deve accorgersi della presenza d’un visitatore. Dopo un certo tempo, necessario ad abituare l’occhio alle tenebre, Bertani intravede alla debolissima luce di una lanterna, situata nell’interno della cella, la figura del condannato ridotto in una condizione raccapricciante. Le sue membra gonfie, il viso cereo, "Passannante, costretto immobile sopra un lurido tavolaccio, emetteva rantoli e sollevava con le mani una grossa catena di 18 chili che non poteva più oltre sopportare a causa della debolezza estrema dei suoi reni. Il disgraziato emetteva di tanto in tanto un grido lacerante che i marinai dell'isola udivano, e rimanevano inorriditi, evidentemente non più in senno: sente dire che è arrivato ad inghiottire i propri escrementi.".

Il politico rimase scioccato per la condizione in cui versava (secondo la Mozzoni, «per molti giorni ne ebbe guastati l'appetito ed il sonno») ed esclamò: «Questo non è un castigo, è una vendetta peggiore del patibolo; il re non sa nulla, non è possibile che lo sappia, egli non tollererebbe un fatto che getta su lui un'ombra odiosa; è una vigliaccheria da cortigiani». Bertani e la Mozzoni denunciarono il trattamento inflitto a Passannante, suscitando un enorme scandalo politico e mediatico. Il deputato minacciò anche un'interpellanza parlamentare che però non verrà mai effettuata, probabilmente a causa delle sue precarie condizioni di salute che lo condurranno alla morte l'anno seguente. Il ministro dell'Interno Giovanni Nicotera tentò di difendersi dicendo che il condannato venne segregato «anche per suo desiderio. Le visite erano state sconsigliate dal sanitario e sfuggite dal condannato; il cibo era quello prescritto dal medico.».

Anna Maria Mozzoni (Anna Maria Mozzoni, giornalista 1837 – 1920), su Critica sociale, ricorda quando ha accompagnato Bertani fino al cancello della torre e il medico del penitenziario che ”mi disse dell’indole dolce del prigioniero, che tenuto, da anni, con tanti rigori, non si era mai lasciato sfuggire una parola di impazienza. Mi disse che volgeva all’ascetismo, ed aggiunse questa frase testuale: E’ un san Luigi”. (da Il re “buono” di Ugobero Alfassio Grimaldi, Feltrinelli) La Mozzoni si rivolse direttamente ad Umberto I e gli inviò una lettera, esortandolo ad intervenire contro le violazioni della pena ma non ricevette risposta. Dubbi sorsero da esponenti del mondo anarchico. Secondo Galleani, il re sapeva della tortura ai danni di Passannante e fu lui stesso ad autorizzarla; anche Amilcare Cipriani ritenne che il sovrano lo lasciò impazzire in galera, poiché gli attentatori non venivano uccisi, anzi «prolungano la loro vita, perché sentano meglio la morte». Il fascicolo carcerario, conservato in un magazzino di stoccaggio a Perugia, non è, attualmente, consultabile al pubblico.

Su sollecitazione di Bertani e della Mozzoni, al prigioniero, che nel frattempo aveva sviluppato una malattia mentale, fu certificata una perizia psichiatrica condotta dai professori Serafino Biffi e Augusto Tamburini (gli stessi che lo avevano visitato dopo l'arresto) e, questa volta, fu dichiarato insano di mente. Nel 1889 fu trasferito, segretamente, presso la Villa medicea dell'Ambrogiana, il manicomio criminale di Montelupo Fiorentino, presso Pisa. Francesco Saverio Merlino ricorda che al confronto il regime carcerario borbonico ci guadagna parecchio e che “ la pazzia del Passanante è conseguenza diretta ed esclusiva del trattamento spaventoso che gli è stato inflitto al penitenziario, trattamento che i regolamenti non permetterebbero”. Anche se trattato in maniera più umana, le sue condizioni psichiche e fisiche erano ormai irreversibili. Non poté essere visitato da nessuno, eccetto alcuni privilegiati. Nel suo ultimo periodo di vita non diede mai segni di aggressività e, nonostante l'atroce detenzione, non si era spenta in lui la passione per la scrittura anche se, qualche volta, gli venne l'impulso di distruggere i suoi quaderni. A coloro che lo visitarono e gli domandarono se avesse ripetuto il gesto, egli rispose di non essersi mai pentito di ciò che aveva fatto. Gli venne permesso di coltivare un orticello, cosa che fece per circa tre anni prima di estirpare tutto. Rimase solo una pianta che venne chiamata Il limone di Sor Giovanni.

Ultime notizie si hanno nel 1890 da F. S. Merlino, che rifugiatosi in Francia per sottrarsi alle cure della polizia romana, pubblica un libro che fa il punto sull’Italia Crispina e nel capitolo “Polizia e criminali” dedica alcune pagine al caso Passannante, all’attentatore distrutto da un sistema carcerario peggiore di quello borbonico. « Passannante è rimasto seppellito vivo, nella più completa oscurità, in una fetida cella situata al di sotto del livello dell’acqua, e lì, sotto l’azione combinata dell’umidità e delle tenebre, il suo corpo perdette tutti i peli, si scolorì e gonfiò … il guardiano che lo vigilava a vista aveva avuto l’ordine categorico di non rispondere mai alle sue domande, fossero state anche le più indispensabili e pressanti. Il signor Bertani … poté scorgere quest’uomo, esile, ridotto pelle e ossa, gonfio, scolorito come la creta, costretto immobile sopra un lurido giaciglio, che emetteva rantoli e sollevava con le mani una grossa catena di 18 chili che non poteva più oltre sopportare a causa della debolezza estrema dei suoi reni. » (Salvatore Merlino, «L’Italia così com’è», 1891 in “Al caffè”, di Errico Malatesta, 1922)

Il nome dell’attentatore senza cultura e soprattutto senza legami, emigrato dei più miseri da un piccolo comune lucano sparirà da ogni cronaca politica, anche regionale. Passannante non era un anarchico, ma “solo un ribelle all’ordine esistente, un generico sovversivo”, di cui non si doveva fare parola: una consegna osservata da tutti. Eppure aveva espresso con forza un disagio sociale diffuso nel paese, nel mezzogiorno. Gesto vano, si deve dire, per un monarca che non era preparato a tenere conto di certe esigenze, quanto ad assecondare con insistenza controproducente le tendenze autoritarie, crispine in primo luogo. Su una tale strada finirà per approvare la spietata reazione di Milano del “98” che determinerà l’atmosfera in cui maturerà il terzo, mortale, attentato del 29 luglio 900 dell’anarchico Bresci.

Nel 1908 Passannante divenne cieco e, dopo aver passato i suoi ultimi due anni in cecità, si spense nel manicomio all'età di 60 anni (5 giorni dopo ne avrebbe compiuti 61). Il referto del manicomio di Montelupo Fiorentino, spedito nello stesso giorno al comune di Savoia di Lucania, riportò una broncopolmonite come causa del decesso. Muore cieco nel buio e nel silenzio imposto anche a coloro che guardano a vista il condannato, il giorno Lunedì 14 Febbraio 1910, alle ore 10 del mattino. Nessuno ha mai potuto illustrare le sofferenze di Giovanni Passannante. E malgrado tutto questo si ha l’audacia di dire che Giovanni Passannante ebbe salva la vita per la bontà del sovrano.

La sua morte verrà ricordata da numerosi esponenti del movimento anarchico, tra cui Luigi Galleani, Luigi Bertoni, Michele Schirru e Randolfo Vella. Dopo la morte il cadavere, in ossequio alle teorie dell'antropologia criminale dell'epoca, miranti ad individuare supposte cause fisiche alla "devianza", fu decapitato. Non si sa ancora chi abbia dato l'autorizzazione. Mentre del suo corpo non si hanno più notizie. Per le teorie di Cesare Lombroso (criminologo, le cui opere si basano sul concetto del criminale per nascita: l'origine del comportamento criminale è insita nelle caratteristiche anatomiche del criminale, persona fisicamente differente dall'uomo normale in quanto dotata di anomalie ed atavismi, che ne determinano il comportamento criminale) al cadavere viene tagliata la testa. Si scoprì che aveva una fossetta dietro l’osso occipitale. Si cominciò pertanto a pensare che quella fossetta fosse il segnale della tendenza all’anarchia di un soggetto. (quella fossetta pero' la hanno tutti gli esseri umani!). Successivamente si iniziarono ad aprire la testa di tutti gli anarchici che decedevano ed in alcuni la fossetta si trovava in altri mancava. Il cervello e il cranio di Passannante, immersi in una soluzione di cloruro e zinco, furono preservati nel manicomio di Montelupo Fiorentino per poi essere portati alla Scuola Superiore di Polizia associato al carcere giudiziario "Regina Coeli" di Roma. Nel 1936 i suoi resti, assieme ai suoi blocchi di appunti, vennero trasferiti presso il Museo Criminologico dell'Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia di Roma «G. Altavista», ove il cervello, immerso in formalina, venne conservato in una teca di vetro sigillato. Da allora Passannante e la sua storia cadono nel dimenticatoio. Il Museo Criminologico conservava le spoglie di Giovanni Passannante nella sezione intitolata “Lo spirito della ragione” allo scopo di evidenziare la forzatura operata dalla nascente disciplina dell’Antropologia criminale che, sulla base di presupposti non dimostrabili scientificamente, attribuiva fondamento razionale a pregiudizi politici e sociali per classificare come delinquenti le classi pericolose, ovvero gli emarginati, gli oppositori politici e in generale tutti coloro che, soprattutto nelle regioni meridionali di recente annessione, combattevano l’egemonia culturale, politica ed economica della classe dirigente dell’ex regno di Sardegna”. Nel 1982 il cervello fu oggetto di studi del prof. Alvaro Marchiori dell'Istituto di Medicina Legale dell'università romana "La Sapienza".

Negli anni '90, tre uomini testardi, idealisti e un po' incoscienti decidono di intraprendere una lunga battaglia per dare sepoltura ai resti del cuoco lucano, ancora conservati nel Museo Criminologico. Un teatrante (Ulderico Pesce), un giornalista e un cantante (Andrea Satta dei Tetes de Bois) combattono la loro battaglia con tutti i mezzi: in teatro e nelle piazze davanti a gente inconsapevole e compassionevole, nei ministeri, in situazioni grottesche, davanti a funzionari inconsapevoli e indifferenti ... L'attore lucano Ulderico Pesce, già autore di un'opera teatrale a lui dedicata dal titolo L'innaffiatore del cervello di Passannante: « Un uomo che chiedeva pubblicamente l'avvento della repubblica, che rivendicava il diritto all'assistenza, agli ospedali, alle scuole, alla dignità dei lavoratori, non deve certamente essere tenuto nel museo del crimine, perché certamente non era un criminale.». L'attore Ulderico Pesce diede vita a una raccolta di firme che contribuirà a portare i rimanenti del defunto nella città natale. All'iniziativa aderirono numerosi personaggi dello spettacolo e della letteratura tra cui Francesco Guccini, Dario Fo, Marco Travaglio, Antonello Venditti, Oliviero Diliberto, Paola Turci, Carmen Consoli, Peter Gomez, Erri De Luca e Giorgio Tirabassi.

Il cervello e il cranio rimarranno esposti sino al 2007 quando furono tumulati nel paese natio. Infatti già dal 1996 la permanenza dei resti nel Museo aveva causato proteste e interrogazioni dei parlamentari: tra questi Francesco Rutelli, che sollecitò la tumulazione delle spoglie dell'anarchico nel suo paese natio. Del caso si occupò anche l'allora eurodeputato Gianni Pittella, che portò la questione alla Commissione e al Consiglio europeo chiedendo, in base alla Carta dei diritti fondamentali dell'UE, di darne umana sepoltura. Il 23 febbraio 1999 il ministro di Grazia e Giustizia, Oliviero Diliberto, firmò il nulla osta per la traslazione dei resti di Passannante da Roma a Savoia di Lucania, che avverrà solamente otto anni dopo.

La sepoltura di Passannante era prevista per l'11 maggio 2007, in seguito ad una cerimonia funebre che si sarebbe dovuta tenere alle ore 11 circa del medesimo giorno nella chiesa madre di Savoia di Lucania. La sepoltura venne però effettuata senza rito e il giorno precedente a quello stabilito, alla sola presenza del sindaco Rosina Ricciardi, di un giornalista del quotidiano "La Nuova Del Sud" e di una sottosegretaria del presidente della regione Basilicata Vito De Filippo, scortati da alcuni carabinieri e agenti della Digos, che avevano trasportato i resti da Roma. La decisione fu giustificata ufficialmente con la causa di ordine pubblico. Secondo un rapporto del Sisde, per l'11 maggio era previsto l'arrivo a Savoia di Francesco Caruso, deputato di Rifondazione Comunista, assieme ad un gruppo di attivisti no global. Molte perplessità in merito furono tuttavia espresse da esponenti del mondo culturale e politico lucano, e anche da parte del comitato pro-Salvia, i cui esponenti, assieme all' attore Ulderico Pesce, hanno per giorni condotto uno sciopero della fame affinché i resti di Passannante venissero riesumati dal cimitero comunale, portati in chiesa madre per il rito funebre e, infine, sepolti.

La richiesta del comitato venne accontentata e, il 2 giugno dello stesso anno si è tenuta una messa in suffragio del defunto, nella chiesa madre del comune lucano. La commemorazione venne fortemente criticata da Sergio Boschiero, segretario dell'Unione Monarchica Italiana, che, in un comunicato stampa, la considerò un atto di riabilitazione di un mancato assassino. Il 7 gennaio 2012, la tomba di Passannante, sulla quale è stato posto solo un suo ritratto e le date di nascita e di morte (26 febbraio 1849 - 14 febbraio 1910) è stata profanata da ignoti: la lapide è stata presa a martellate e gravemente danneggiata. La scoperta è attribuita ad alcuni cittadini di Savoia di Lucania, che si erano recati a visitare il cimitero. Nei giorni seguenti, Vittorio Emanuele di Savoia ha condannato l'atto vandalico. Dalla condanna inferta al comune, la popolazione di Savoia di Lucania è ancora divisa in due comitati opposti: un comitato "pro-Salvia" che rivendica il desiderio di ritornare al vecchio nome "Salvia di Lucania", in memoria delle torture inflitte a Passannante e del ruolo dei Savoia nella politica Italiana, ed un comitato "pro-Savoia" che rivendica l'onore di essere legati alla dinastia sabauda e condanna l'atto compiuto dall'anarchico.

Il 10 febbraio 1948 il consigliere comunale Raffaele Cancro propose la cancellazione del nome Savoia e di dare un nuovo toponimo Passannantea ma l'idea venne respinta. Un altro invito riguardo al cambiamento del nome attuale avvenne nel 1954 da parte di un padre domenicano, anche questa volta rifiutato. Nel 2007, l'allora sindaco di Savoia, Rosina Ricciardi, ribadì la sua contrarietà al ritorno del vecchio nome della città, sostenendo che «siamo nati in Savoia indipendentemente dalla storia». Il comitato "pro-Savoia" aveva previsto, per il giorno 1º maggio dello stesso anno, un incontro pubblico con il principe Emanuele Filiberto, ma il ricevimento è stato successivamente annullato.

Nessuno ha mai potuto illustrare le sofferenze di Giovanni Passannante. Quando le porti pesanti della sua tetra e fetida prigione si aprirono per lasciarlo passare onde trasportarlo al manicomio di Montelupo, da quella tomba non uscì che il corpo disfatto della povera vittima, la quale lasciava là dentro la parte sua migliore, il suo cervello pensante, la sua forza d’animo, la fede nell’Idea di fratellanza umana. Passanante era un uomo che semplicemente ragionava in modo libero, facendo uso del proprio cervello, ed è una fortuna che qualcuno ce ne sia ogni tanto. Se non vengo preso per "mattoide" anch'io, mi sento più orgoglioso sapere che Passanante sia un lucano come me.



Savoia di Lucania: Il museo della Memoria, Biblioteca e Centro di Documentazione Salviano.


Negli ex locali della Comunità montana Melandro di corso Garibaldi, è provvisoriamente ubicata una sezione dedicata all’anarchico Giovanni Passannante e ad un “Centro di documentazione salviana” (che comprende libri, riviste, documenti della storia italiana e salviana del XX secolo), dall’agosto del 2008. In una sezione dedicata a Giovanni Passannante dove è possibile visionare i suoi scritti, i documenti dell'epoca in riferimento all'attentato al Re Umberto I°, i documenti del processo, l'angusta cella ricostruita. In esclusiva per il Museo Salviano è' stato realizzato un film documentario sulla vita di Giovanni Passannante in visione presso lo stesso museo. Il Film documentario dura circa 80 min. e ripercorre la vita di Giovanni Passannante, il film in visione gratuita a Savoia di Lucania presso il Museo Salviano. Il film è stato realizzato da Giuseppe Croce amministratore della Euro Sviluppo srl., per il Museo Salviano, i testi di Angelomauro Calza , la regia Domenico Mastroberti. Visione gratuita del film su Passannante e per visitare il Museo Salviano telefonate al comune di Savoia di Lucania ai seguenti numeri: cel. 328 75 46 275 oppure 0971 711931 oppure 0971 711000 Il museo della Memoria, Biblioteca e Centro di Documentazione Salviano è aperto tutti i giorni previa prenotazione telefonica.



La Torre del Martello a Portoferraio, un tempo carcere, ora museo


Curiosita': Dal carcere passarono molti ospiti illustri, di solito condannati a lunghe pene e per reati gravi, in quanto si era guadagnato la fama di penitenziario fra i piu' duri d'Italia. Sicuramente il piu' famoso e' Giovanni Passannante, il cui nome verra' associato alla torre. Non solo agitatori anarchici scontarono le loro malefatte alla Linguella, ma anche briganti. Il piu' famoso e' Carmine Donatello, meglio noto come Carmine Crocco, capo dei briganti in Lucania, che aveva impresso il marchio sull'Italia negli anni 1860. Nel 1873 fu condannato a morte, pena poi commutata ai lavori forzati l'anno seguente. Sotto il regime fascista vi furono deportati molti detenuti politici. Fra di essi spicca il futuro presidente della repubblica Sandro Pertini: nel 1933 nella stessa Torre della Linguella, fu carcerato in attesa di essere processato per oltraggio ad una guardia carceraria. Un procedimento giudiziario dovuto a fatti avvenuti l'anno precedente, mentre l'avvocato socialista, era detenuto politico nel carcere di Pianosa quale noto antifascista.

La Torre della Linguella, nota anche come Torre del Martello, è una torre costiera situata a Portoferraio, sull'Isola d'Elba. La Torre subito riconoscibile all’entrata del porto di Portoferraio per la sua forma ottagonale, deve la sua costruzione agli inizi del cinquecento dai Medici, signori di Portoferraio. E’ un esempio supremo di architettura militare a difesa del porto. Utilizzata nel tempo come magazzini del sale, successivamente come magazzini della tonnara e luogo di conservazione dei tonni, fu trasformata nel 700 dai Granduchi di Lorena in carcere. La torre e' di forma ottagonale, a tre piani con soffitti a volte, piu' la piattaforma superiore in cui un tempo si aprivano le cannoniere. Oggi infatti la struttura non piu' l'originale, in quanto pesantemente danneggiata dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, e ricostruita non proprio fedelmente. Per esempio l'ingresso principale era quello al primo piano che guarda la darsena, e non l'attuale centrale e al piano terra, molto piu' recente. Per la sua forma, che richiama la bocca di un martello, prende anche il nome di torre del Martello. Torre del Passanante invece deriva dal nome dell'attentatore al re Umberto I, che qui fu recluso quando era adibita a bagno penale. La torre sembra emergere dal mare stesso: il seminterrato e' addirittura sotto il livello del mare, tanto da subire spesso allagamenti, specialmente durante le alte maree. La struttura e' uno dei capolavori architettonici medicei a Portoferraio. cosi' la descrive Amelio Fara: La torre camerinesca della Linguella ha una forma geometrica pura, ed e' straordinario l'accostamento del marmo ai mattoni. Rappresentera' uno dei paradigmi piu' ricchi di significato per gli ingegneri militari fino alla prima meta' del secolo XIX. La Torre della Linguella e' il terzo caposaldo del sistema difensivo di Portoferraio, con i forti Stella e Falcone. Fu costruita dopo questi due, ma a differenza di essi e' opera esclusiva di Giovanni Camerini. Il primo architetto della piazzaforte, Giovan Battista Bellucci, l'aveva progettato come semplice riparo a forma di revellino. Invece il successore realizzera' un autentico capolavoro. Nel dicembre 1548 vennero impiegati duecento guastatori per preparare il terreno, in marzo aperte le fondamenta e in luglio iniziata la costruzione. Nei lavori di restauro del 1950 venne alla luce la lapide in pietra serena che ricordava la fondazione: Cosimo de' Medici duca di Firenze d fondamento l'anno MDXLVIIII a d VIIII luglio. Nel 1550 fu installata una catena che dal fianco della torre raggiungeva il molo del Gallo, precludendo l'imbocco alla darsena. Era lunga 135 metri, formata da tavole unite da anelli in ferro. Alla fine del XVII secolo il granduca di Toscana Ferdinando II dette ordine di rinforzare l'area della Linguella, poiche' riteneva la torre troppo isolata. cosi' nel 1683 furono iniziati i lavori al bastione di San Cosimo (quello che guarda il mare aperto, detto anche Santa Teresa), sotto la direzione del dinamico governatore di Portoferraio Mario Tornaquinci, che sopraelevo' un braccio fortificato esistente e termino' l'opera nel 1689. Oggi del bastione rimangono i resti sconvolti dai bombardamenti dell'ultima guerra. La nuova regolarizzazione della zona porto' all'apertura di un piccolo fossato che separo' l'area della Linguella dal resto della piazza. Esso era attraversato da un piccolo ponte levatoio. Nello stesso periodo furono costruiti anche edifici vari per impiantarvi una tonnara. Nella seconda meta' del Settecento gli stessi edifici vennero destinati al bagno penale. L'apertura di esso sanci' la fine dell'importanza militare della Linguella. Il carcere fu chiuso nel 1942, quando il luogo fu dovuto evacuare per i danni dei bombardamenti, e mai riaperto. Nel dopoguerra, con la ricostruzione, l'area della Linguella muto' radicalmente. Gia' nel 1932 era stata costruita la capitaneria di porto. Negli anni 1950 fu restaurata la torre e ricostruito il bastione San Francesco; negli anni successivi fu la volta degli edifici dell'ex bagno penale, che venne adibito per gran parte a museo archeologico. In anni recenti furono intrapresi scavi sistematici anche per salvare dall'oblio la villa romana che sorge in questa area.

La Torre della Linguella è anche nota come torre di Passannante, anarchico lucano che il 17 novembre del 1878 a Napoli, in occasione della visita del re Umberto I di Savoia, attentò alla vita del re, colpendolo di striscio senza ucciderlo. A causa di questo attentato fu rinchiuso in una cella della torre e legato ad una pesante catena che gli impediva di muoversi di più di un metro. I marinai che passando nelle vicinanze della torre udivano i suoi lugubri e continui lamenti, iniziarono a chiamarla torre di Passannante. La cella Giovanni Passannante fu cosi' descritta da Arrigo Petacco: Era una cella buia, situata due metri sotto il livello del mare. Passannante vi aveva vissuto dal 1881 al 1889, restando sempre legato a una catena che gli consentiva di fare appena cinque passi. Naturalmente, otto anni di quella vita erano stati piu' che sufficienti a rendere completamente pazzo il giovane attentatore lucano, e nell'89 Passannante era stato trasferito nel manicomio criminale di Montelupo. Da allora nessuno subira' l'inumanita' della detenzione nella tremenda segreta. La Torre della Linguella presenta una caratteristica pianta ottagonale, con una cordonatura che si articola nella parte bassa delimitando il sottostante basamento, che su sei degli otto lati poggia direttamente sulla riva scogliosa del mare. La parte superiore della struttura turriforme risulta nettamente più sporgente di quella inferiore, culminando nella parte sommitale con alcuni possenti beccatelli che delimitano la terrazza originariamente utilizzata per le funzioni di avvistamento, al centro della quale è presente una piccola struttura a base circolare non visibile dall'esterno del complesso. Le strutture murarie si presentano quasi interamente rivestite in laterizi, con tratti di cortine murarie di cinta in pietra che si addossano all'angolo nord-occidentale della torre, andando a delimitare esternamente una struttura bastionata con basamento a scarpa, che in passato conferiva un ulteriore elemento di sicurezza all'intero complesso. Si trova sull'estremita' della punta omonima, che chiude a ferro di cavallo, insieme al molo del Gallo, la darsena di Portoferraio. Si raggiunge facilmente, percorrendo tutta la calata. L'accesso all'area esterna e' aperto solo occasionalmente (spesso comunque nella stagione turistica). L'ingresso all'interno invece e' limitato a particolari occasioni, soprattutto mostre, a cui sono adibiti i locali della torre. La maggior parte di esse si svolge in estate. Dopo anni di degrado, nel 1977 durante i lavori di ristrutturazione che la riportarono al suo splendore originale, vennero alla luce i resti di una antica villa romana. Costruita direttamente sugli scogli, si presenta con la parte superiore della struttura della torre nettamente più sporgente di quella inferiore, culminando nella sommità con possenti beccatelli che delimitano la terrazza originariamente utilizzata per le funzioni di avvistamento. Al centro della torre è presente una piccola struttura a base circolare non visibile dall'esterno del complesso. La Torre del Martello è visitabile gratuitamente durante l’estate in quanto spesso sede di mostre di pittura. In epoca moderna la Marina Militare ha installato un faro all'angolo occidentale delle mura del torrione. L'infrastruttura, originariamente ad alimentazione elettrica, è stata recentemente dotata di un pannello fotovoltaico. Si tratta di un fanale a luce ritmica, dotato di una lampada da 60 W per l'illuminazione notturna dell'area aeroportuale di Portoferraio. Torre della Linguella - Località: Portoferraio - Calata Buccari - Altezza: 7 m - Elevazione: 13 m s.l.m.


"Passannante" - Scene dal bellissimo film del 2011 - Giovanni Passannante è interpretato da un bravissimo Fabio Troiano.