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Film del Cinema girati in Lucania: I BASILISCHI

La terra lucana e' una regione in cui, dal 1950 ad oggi sono state girate decine di pellicole dalle piu' grandi firme della regia italiana (Rosi, Zampa, Lattuada, Taviani, Pasolini fino a Rocco Papaleo) e internazionale (in particolare Mel Gibson con il suo colossal 'La Passione di Cristo'), la promozione dei territori si lega sempre piu' al fenomeno del cineturismo. Di seguito ecco elencati alcuni Film del Cinema girati in Lucania:

I basilischi - Basilicata coast to coast - Il brigante di Tacca del Lupo - Cristo si è fermato a Eboli - Del perduto amore - L'eredità della priora - Il generale dei briganti - Un giorno della vita - Hai paura del buio - Io non ho paura - Li chiamarono... briganti! - Modo Armonico Semplice - Una piccola impresa meridionale - Quando il sole sorgerà - Il rabdomante - Sexum Superando, Isabella Morra - Terra bruciata

I BASILISCHI

“I basilischi” (1963) è il primo film di Lina Wertmüller. Il film e' diretto, scritto e sceneggiato da Lina Wertmüller. Lina Wertmüller fa anche da doppiatrice di numerosi personaggi secondari di questa pellicola. Le musiche sono di Ennio Morricone, che debutta anche lui nell'uso di archi atonali in una forma aleatoria puntuale. Scrittura musicale di assoluta novità, maturazione contemporanea del contrappunto allo stato dell'arte di J. S. Bach (1685-1750). Il Basilisco, e' il nome comune delle lucertole del genere Basiliscus. I giovani protagonisti, “I basilischi”, sono cosi' comparati come ‘lucertole al sole’, una locuzione che sta a indicare la pigra realtà di chi vive nei piccoli centri del sud… Lina Wertmuller, dopo l'esperienza come aiuto regista di Federico Fellini per il film "Otto e mezzo", debutta come regista con il film "I basilischi", di cui cura anche il soggetto e la sceneggiatura, e gira proprio nel paese di cui è originaria la famiglia del padre (Palazzo San Gervasio). Le scene del film sono state girate quasi interamente nel comune di Palazzo San Gervasio in provincia di Potenza e nei comuni Pugliesi di Minervino Murge e Spinazzola. Per i vitelloni di una cittadina del Sud i giorni passano nell'ozio e nella noia. C'è chi potrebbe uscirne, ma rinuncia. Una commedia che esplora, in sorridenti cadenze, una sconsolata situazione quotidiana nel nostro Sud. La piccolissima provincia come riparo dal mondo e dalle responsabilità, rifugio per giovani cresciuti nell'accidia senza lo straccio di un ideale o di un obiettivo che non sia quello di una decorosa sopravvivenza. Francesco, Sergio e Antonio sono tre giovani privilegiati che vivono in un tipico paesino di provincia, situato tra la Puglia e la Basilicata: il film è il ritratto della loro vita, ormai troppo intrisa di apatia e provincialismo, per poter far loro desiderare davvero di spiccare il volo verso mete più stimolanti. Infatti, quando un giorno la zia di Antonio, svogliato studente universitario, gli offrirà di andare ad abitare da lei a Roma trasferendo l'iscrizione dall'Università di Bari a quella della capitale, dopo poco tempo egli rinuncerà e farà ritorno al paese, incapace di abbandonare pregiudizi, luoghi comuni e rituali della provincia natia, ormai irreversibilmente radicati nel suo essere. Il film racconta l’indolenza della provincia meridionale e i suoi ‘vitelloni’ che consumano le giornate fra una chiacchiera al bar e una passeggiata per il Corso. Ecco come la regista, anche autrice della sceneggiatura, presenta il paese e i suoi abitanti. È un momento cruciale della giornata, il dopopranzo. Tutto si ferma, le strade si svuotano. Una voce fuori campo fa da corollario alle immagini sullo schermo e, con un registro che ne denota l’appartenenza al luogo, accompagna all’interno delle case dei ‘basilischi’. Ciccio, Sergio, Francesco… Qua da noi così si usa, dopo mangiato tutti a coricare. Quand’è la controra si buttano tutti nelle braccia di Morfeo; che in questo paese dovrebbe essere fatto Santo Patrono e portato in processione al posto di Sant’Antonio. Io non dormo – e chi ci riesce? – e nella testa mia continuano a girare domande senza risposte. Quest’ora è sacra. Anche chi la dedica alle letture culturali, come Francesco, alla fine si addormenta e si sognerà chissà! d’essere Gordon, Superman, Nembo Kid. E Sergio, senti senti, dice vado a scuola a correggere i compiti, sì. Le cinque figlie femmine di Enrichetto pure si preparano a dormire. Eh… cotona, cotona, troppo devi cotonare per trovare marito qua. Davanti all’associazione comunista giovanile dormono i vecchi. ‘O venerato ritratto del fu Salvatore guarda benevolo. A quest’ora casa di suo figlio è tranquilla. È raro, eh…, per comandare, suoceri e nuore si fanno la guerra, urla, grida. Fa bene ‘o barbiere, ‘o pisolino se lo va a fare a bottega. Don Giustino ‘o farmacista invece dorme tranquillo pure a casa; ‘a moglie donna quieta, ‘e figlie… due Veneri non sono eh, ma tanto sposare si sposano lo stesso, ci sta la farmacia; i farmaceutici rendono bene. È la controra. Donna Agata, che arrivò da Pisa sessanta anni fa, sposò il più ricco proprietario della zona, non dorme, fa i conti. Ah! Alla buona salute. Alla stanza vicino Don Ciccio, suo figlio, invece, dorme. Era tanto un bravo figlio e poi… La sposa è romana e ossigenata, faceva la ballarina, la mannequin. È nervosa; suscita sogni in tutti gli uomini do paese, pure se sta qua da un mese e nessuno l’ha vista mai. La chiamano chissà perché Coscia lunga monferrina. Eh, povera Mannequin, chissà quanto hai camminato su quelle cosce lunghe monferrine. Dice, io sono stanca mo’ me sposo e me riposo, e s’è sposata a Ciccio e mo’ se deve divertì. È la controra. Dorme anche Rosina che viene da Ferrara. La consolatrice ufficiale dei cuori solitari; maledetta da metà do paese e invocata dall’altra metà, che in sette anni gli ha fatto fare ben cinque figli; ormai può dormire tranquilla, è parente. E no, no, ‘a Dottoressa non dorme, non può, è autodidatta, di umili origini e donna, deve studia’ e deve sapere più degli altri sennò qua se la mangiano viva. È la controra di un giorno d’estate. Il lungometraggio racconta della vita di tutti i giorni che si svolge nel tipico paesino dell’entroterra nord-lucano, ai confini con la Puglia: la sacralità della pennichella nella controra, lo scandalo di un matrimonio rotto ancor prima dell’abrogazione del referendum sul divorzio, la diffidenza verso la parità sessuale in campo medico e lavorativo, fanno da cornice alla storia dei sue principali protagonisti, Antonio e Francesco. Due giovani, con due sogni differenti, nati e vissuti tra il circolo politico ed i viottoli, le strade, le contrade e le ardite e dolci scalinate tipiche di questi paesi. Antonio, nato figlio di un padre, notaio del paese, che a sua volta era figlio di suo padre, anch'egli notaio del paese al tempo che fu, il cui destino è già segnato nel dover intraprendere le redini dell’attività di famiglia e Francesco, figlio di piccoli proprietari terrieri, ragioniere e aspirante politico. Tra gli studi molto a rilento del primo, iscritto alla Facoltà di Giurisprudenza di Bari e le aspirazioni del secondo nel voler fondare con altri proprietari terrieri una sorta di cooperativa per la produzione e vendita di salamini e latticini, la loro vita da venticinquenni è del tutto incentrata sulla voglia di accasarsi, in una realtà locale che negli Anni Sessanta non lasciava spazio a frequentazioni tra ragazzi, libere e scevre da giudizi negativi di stampo scandalistico. Ma verso la fine la quadra del film sembra risolversi con la partenza di Antonio alla volta di Roma, ospite dei suoi zii ormai residenti a Roma da decenni, nella speranza che questo riesca a cambiare il suo status civile e sociale. Anche Francesco sembra aver individuato il sentiero da percorrere, cercando di convincere anche la società bene del paese ad investire nel suo progetto. Ma con la morte di Donna Rosa, una delle signore conosciute da tutto il paese, Antonio tornando all’ovile con la corriera, per partecipare al funerale, si ricongiunge all’amico Francesco. E ognuno di loro si compiace di quanto è riuscito a creare: Antonio, nel suo abito di sartoria e nelle sue calze lunghe, racconta di una Roma meravigliosa, quella della Dolce Vita e del boom economico, nella quale tornerà a vivere dopo aver cambiato l’iscrizione dall’Università di Bari a quella de La Sapienza; Francesco non è da meno, raccontando all'amico i provvisori risultati della sua impresa. Ma è l’epilogo finale che nasconde la verità; un epilogo meraviglioso che merita di essere trascritto per intero: “Se stai a da’ retta agli altri nun te movi cchiù, dice Antonio. E dice ca lui subito se ne vuole andare a Roma. Ma quando la sveglia ha suonato la mattina alle sei, che doveva andare a Bari pe’ spostare l’iscrizione all’Università, lui, si è voltato dall’altra parte. Ha rimandato. Domani! Poi domani, poi domani, e intanto continua a raccontare di Roma, delle donne.. quella co’ la catena d’oro intorno alla vita, quella co’ la parrucca e gli occhiali di brillanti; la bionda che beveva; la bruna che lo voleva lanciare nel cinema.. Le favole! Parla, parla; tanto che non partirà più tutti l’hanno capito. E pure lui, perché? Eh! Ci u’sape! Po’ esse che ad Antonio ci manca qualche cosa, o forse ci manca a tutti noi, ed è per questo che la vita nostra passa e facciamo così poco. Così poco. Oppure, può esse’ che facciamo quelli che la razza e il clima e il luogo e la storia hanno voluto che fossimo, come dice quel grand’uomo del sud. Bah. Antonio continua a parlare di Roma; Francesco continua a parlare della cooperativa, eh! E Roma e la cooperativa sono diventati solo un argomento pe’ chiacchiera’, perché qua si chiacchiera tanto. Si chiacchiera.. si chiacchiera.. Ecco qua” Del cast fa parte l'attore Antonio Petruzzi, nel ruolo di Tony. La regista per questo film si aggiudica la "Vela d'argento" al Festival di Locarno del 1963 e ottiene premi - in seguito - anche a Londra e a Taormina.


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Biografia di Lina Wertmüller

Lina Wertmüller nasce a Roma nel 1928 da padre lucano (di Palazzo San Gervasio, in provincia di Potenza) e madre romana, discendente da una nobile e agiata famiglia svizzera. Il suo vero nome completo e' Arcangela Felice Assunta Wertmüller von Elgg Spanol von Braucich. S' iscrive ai corsi di regia dell'Accademia Pietro Sharoff nel 1951 e, dopo il diploma, lavora in teatro con Garinei e Giovannini ed è aiuto regista di Giorgio De Lullo. Nelle medesime vesti, collabora con Fellini per "Otto e mezzo" (1963); nel frattempo, si dedica all'attività radiofonica ed alla regia televisiva ("Canzonissima"). Il suo esordio come regista avvenne nel 1963 con I basilischi, amara e grottesca narrazione della vita di alcuni poveri amici del sud (il film fu girato in gran parte tra la Basilicata, a Palazzo San Gervasio, e la Puglia, a Minervino Murge), che le valse la Vela d'argento al Festival di Locarno. Nel 1965 dirige per il grande schermo il film ad episodi "Questa volta parliamo di uomini" e per la televisione "Il giornalino di Gian Burrasca", fortunato adattamento dell'omonimo romanzo di Vamba. Nella seconda meta' degli anni sessanta nacque la sua collaborazione con l'attore Giancarlo Giannini, che fu presente nei suoi grandi successi. Per Pasqualino Settebellezze, che ebbe grande successo anche negli Stati Uniti, la Wertmüller fu candidata alla vittoria di tre Premi Oscar nella cerimonia del 1977 (tra cui quello per la miglior regia) mentre una quarta nomination arrivo' a Giancarlo Giannini per la sua interpretazione del protagonista. Successivamente ha firmato per il cinema altri diciassette lungometraggi, dei quali meritano menzione "Mimì metallurgico ferito nell'onore" (1972), "Film d'amore e d'anarchia" (1973), "Travolti da un'insolito destino nell'azzurro mare d'agosto" (1974), "Pasqualino settebellezze" (1975): interpretati dal duo Giancarlo Giannini/Mariangela Melato e segnati da toni grotteschi, parossistici, survoltati , essi definiscono - nel bene e nel male - uno stile inconfondibile di regia apprezzato anche all'estero. Del prosieguo della sua carriera di cineasta, caratterizzata da esiti diseguali, possono esser ricordati "Fatto di sangue fra due uomini per causa di una vedova, si sospettano moventi politici" (1978), "Scherzo del destino in agguato dietro l'angolo come un brigante da strada" (1983), "Un complicato intrigo di donne, vicoli e delitti" (1985), "Sabato, domenica e lunedì" (1990), "Ninfa plebea" (1997). Moglie dello scenografo cinematografico e teatrale Enrico Job, Lina Wertmüller ha anche pubblicato vari romanzi, tra cui " Essere o avere, ma per essere devo avere la testa di Alvise su un piatto d'argento" e "Avrei voluto uno zio esibizionista" (Arnoldo Mondadori editore). Nel 1986 la prima delle sue rare incursioni nel teatro lirico con la regia della Carmen di Bizet che inauguro' la Stagione lirica 1986/'87 del Teatro di San Carlo di Napoli, rappresentazione che venne ripresa in diretta su Raiuno. Successivamente la regista continuo' a realizzare film venati di forte satira sociale e contraddistinti spesso da titoli esageratamente lunghi. Nel 1992 diresse Io speriamo che me la cavo con Paolo Villaggio, mentre nel 1996 torno' alla satira politica con Metalmeccanico e parrucchiera in un turbine di sesso e politica, con Tullio Solenghi e Veronica Pivetti come i nuovi Giannini-Melato. Nel 1999 la Wertmüller torna alla regia con "Ferdinando e Carolina", una versione bozzettistica del Secolo dei Lumi, in cui il protagonista, ormai agonizzante, rievoca tutta la sua vita. La Wertmüller dirige poi la fiction " Francesca e Nunziata" (2001, con Sophia Loren e Claudia Gerini), film tratto dall'omonimo romanzo della scrittrice napoletana Maria Orsini Natale. Il film è ambientato a Procida, a Terra Murata, nella sagrestia dell'Abbazia di San Michele, a Punta Pizzaco, nella baia della Corricella e il film Peperoni ripieni e pesci in faccia (2004, sempre con la Loren protagonista), che pero', nonostante le proteste della regista, ebbe scarsa distribuzione nelle sale un paio d'anni dopo. Il successivo Mannaggia alla miseria (2008, con Gabriella Pession e Sergio Assisi) viene pertanto trasmesso direttamente in prima serata su Raiuno il 2 giugno 2010. Nello stesso anno le viene conferito il David di Donatello alla carriera.


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