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BALVANO: la tragedia del treno 8017

La Locomotiva del treno 8017 fotografata nel 1966 a Catania

Video: Lucania, tragedie di guerra a Matera e Rionero. Tragedia del treno 8017 a Balvano


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" FRA CENSURA, OBLIO E MEMORIA : LA TRAGEDIA DEL TRENO 8017"

 

"FRA CENSURA, OBLIO E MEMORIA : LA TRAGEDIA DEL TRENO 8017" 

Tesi di Laurea di Antonio Ambrosio Università di Salerno

 

INDICE

 

Introduzione                                                                        p. 2

 

Capitolo I

Ricostruzione della vicenda

1.1 Il quadro storico dell’Italia nel 1944                                   p. 4

1.2 I presagi della tragedia                                                       p. 7

1.3 La sciagura dell’8017                                                        p. 12

1.4 Le testimonianze: contributi preziosi per la

      ricostruzione dell’evento                                                   p. 25

1.5 La questione del carbone                                                   p. 38

 

Capitolo II

L’inchiesta, la burocrazia e il risalto mediatico

2.1 L’inchiesta                                                                        p. 42

2.2 Come la burocrazia ha “ostacolato” la ricerca della verità    p. 47

2.3 L’eco mediatica della tragedia                                            p. 55

 

Capitolo III

Dopo la tragedia, l’oblio. Dopo l’oblio, la memoria

3.1 La rimozione                                                                     p. 63

3.2 I custodi del ricordo                                                         p. 66

3.3 La memoria                                                                      p. 77

 

Conclusioni                                                                         p. 80

 

Appendice - Le testimonianze                                             p. 83

 

Bibliografia                                                                         p. 111


 

INTRODUZIONE

 

 

Nella notte del 3 marzo 1944 Balvano, un tranquillo paesino al confine tra Basilicata e Campania, divenne teatro della più grave tragedia ferroviara italiana, forse d’Europa. Fu una tragedia senza colpevoli accertati, nella quale morirono più di seicento persone all’interno della Galleria delle Armi. Ma questa tragedia, a differenza di altre, è pressoché sconosciuta.

Dopo aver delineato brevemente il quadro storico circa la situazione italiana del tempo si cercherà di ricostruire l’episodio avvalendosi prevalentemente dei giornali dell'epoca, delle varie ricostruzioni e studi finora realizzati, del pochissimo materiale ufficiale ancora presente e delle testimonianze che sono state raccolte tra testimoni e superstiti. Purtroppo il quadro non risulta ben chiaro in quanto le fonti analizzate forniscono dati e versioni discordanti, rendendo ulteriormente complicata una ricostruzione dettagliata e veritiera.

Nel proseguo della trattazione si mettono in evidenza tutti i fattori che hanno contribuito, nelle varie fasi storiche, al ricordo e alla dimenticanza e che si sono alternati senza però giungere a far chiarezza sull’accaduto e sulle effettive responsabilità. Si vogliono, inoltre, ricordare tutte le persone che, nonostante l'inerzia delle istituzioni, non si dettero per vinte e che ancora oggi portano avanti la memoria di quel tragico evento, memoria che la popolazione di Balvano ha, con sensibilità e impegno, conservato e tramandato. 

Ai fini dello studio della tragedia e per una maggiore comprensione dei suoi vari aspetti sono state raccolte delle interviste ad alcuni dei protagonisti.

Le commemorazioni di quel funesto 1944 hanno risvegliato un senso di sgomento, anche nelle generazioni successive, rispetto all'indifferenza e all'alone di mistero che ancora circondano questo evento.

 

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CAPITOLO I

RICOSTRUZIONE DELLA VICENDA

 

 

1.1 IL QUADRO STORICO DELL’ITALIA NEL 1944

 

Il ‘900 è stato un secolo tragico sotto molti punti di vista: il secolo breve è stato il secolo delle guerre, dei totalitarismi, dei genocidi.

Nell'anno 1944, forse il peggior anno della storia dell'Italia post-unitaria, non esisteva neanche l'Italia: esistevano due nazioni nelle quali, dietro governi formalmente italiani, in realtà agivano e comandavano eserciti e nazioni straniere. Nell'Italia meridionale c'era il regno del sud di Vittorio Emanuele III e del suo capo di governo Pietro Badoglio, che tentavano di dare una continuità istituzionale al Regno d'Italia dopo la fuga del 9 settembre a Brindisi. Nell'Italia settentrionale invece c'era la Repubblica Sociale di Benito Mussolini, alleata con i nazisti di Hitler.

La popolazione era stremata dalla fame, i servizi pubblici erano pressoché inesistenti o di scarsissima fruibilità e per sopravvivere si era disposti praticamente  a tutto.

Dalla zona del napoletano e anche dalla provincia di Salerno, persone con ogni mezzo di trasporto, preferibilmente assaltando i treni, anche quelli merci, si recavano negli agri della Calabria, della Basilicata e della Puglia, in cerca di generi alimentari. Con l'arrivo degli Alleati questa forma di commercio rappresentava un vero e proprio mercato di emergenza o sussistenza[1] che, in realtà, ebbe molta fortuna perché nella zona di Napoli era facile approvvigionarsi, in maniera anche illecita, di materiali di ogni genere che poi venivano barattati con i generi alimentari della zona della Basilicata, della Puglia e della Calabria. Infatti le popolazioni delle zone agricole erano disposte a scambiare olio, farina, formaggi, uova (le olive nere a Salerno costavano 30 lire al chilo a “borsa nera”, mentre a Ferrandina si potevano acquistare per sole 8 lire[2]) in cambio di tessuti, utensili, talvolta anche denaro. Questo è il motivo per cui centinaia di persone partirono dalla stazione di Napoli con un treno merci nonostante il controllo delle forze dell'ordine.

I servizi pubblici erano molto carenti, soprattutto i trasporti che essendo controllati dagli alleati dovevano servire principalmente agli scopi bellici.

Il treno 8017 era un convoglio straordinario (indicato dal numero 8), ossia non viaggiava con regolarità, e l’ultima cifra dispari indica che  viaggiava da Ovest verso Est[3] ovvero da Napoli a Bari. In genere l’8017 effettuava due corse a settimana, era considerato un treno merci ma disponeva anche di “carri attrezzati”, forniti di panche, in cui potevano viaggiare passeggeri regolari muniti sia di biglietto che di una speciale autorizzazione rilasciata dalle autorità alleate[4]. Così che i passeggeri non muniti del titolo di viaggio (o abusivi)[5] erano costretti a prendere d’assedio ogni convoglio, scontrandosi con il personale di scorta e sistemandosi in ogni posto dove fosse loro possibile, rischiando enormemente la propria incolumità. All’arrivo in ogni stazione si poteva assistere a scene drammatiche: centinaia di persone si fiondavano sui vagoni con i propri fagotti, di sera stavano appostati nel buio lontano dalle stazioni, per evitare i controlli pronti a sfruttare ogni minimo rallentamento.

 

 

1.2 I PRESAGI DELLA TRAGEDIA

 

Talvolta si ha l’impressione che il destino cerchi di rendere chiare agli uomini le proprie intenzioni. La più grave tragedia ferroviaria d’Italia ebbe, dal canto suo, più di un cenno premonitore che avrebbe dovuto non solo far presagire la tragedia imminente, ma avrebbe potuto addirittura sventarla.

Il primo presagio fu carico di dolore: l’8 febbraio 1944, in una galleria sulla tratta Baragiano-Tito, immediatamente successiva a quella della successiva tragedia e con pendenze superiori al 22‰, un treno dell'autorità militare statunitense aveva subito un incidente simile, in cui il personale era rimasto intossicato dai gas di combustione del carbone di scarsa qualità. Il macchinista Vincenzo Abbate era svenuto ed era rimasto schiacciato tra la motrice e il tender. A seguito di questo evento era stato disposto il limite di 350 tonnellate per ogni locomotiva e l'utilizzo di locomotori diesel-elettrici americani nei casi di doppia trazione, con eventualmente una locomotiva a vapore italiana posta in coda e invertita per scaricare con il fumaiolo in coda. Venne stabilito a Battipaglia il punto di applicazione di queste normative, per evitare di dover compiere operazioni di separazione sulla linea montana. Questi limiti rimasero per molto tempo in vigore, fino al 1996, quando la linea Battipaglia-Metaponto venne tutta elettrificata. Inoltre nell'uscita sud della Galleria delle Armi fu istituito un posto di guardia in cui l'operatore ad ogni passaggio di treno doveva avvertire telefonicamente la stazione di Balvano “quando poteva vedere la luce in fondo”[6], ossia quando nella galleria non vi erano più gas di scarico. Queste disposizioni rimasero in vigore fino al 1959, quando su questa linea vennero vietate le locomotive a vapore.[7]

Un altro presagio si presentò sotto forma di una lettera indirizzata ai capi compartimento delle Ferrovie dello Stato di Napoli, Bari e Reggio Calabria e, per conoscenza, al Gabinetto della Presidenza del Consiglio dei Ministri e a vari Ministeri. Lo scrivente era Giovanni Di Raimondo, sottosegretario di Stato alle Comunicazioni per le ferrovie, la Motorizzazione civile e i Trasposti in concessione: nella sua accorata missiva sottolineava come il treno bisettimanale per viaggiatori civili Bari-Napoli via Potenza fosse insufficiente rispetto alle esigenze della numerosa popolazione delle regioni attraversate. Di Raimondo poneva l’accento sul fatto che nelle numerose stazioni toccate dal treno erano in attesa folle provenienti non solo da Puglia e Campania, ma anche da Sicilia e Calabria, auspicando una elevazione delle corse del treno, se non giornalmente, almeno per tre volte a settimana, in quanto tale affollamento era anche la causa della non regolare marcia dei treni. Le richieste di Di Raimondo, però, furono disattese dalla Direzione Generale del Servizio Ferroviario Militare per le Forze Armate Alleate per esigenze militari che imponevano di mantenere al minimo (nel caso di specie, 600 viaggiatori per ciascuna corsa) i viaggi dei civili. La Direzione Generale del Servizio Ferroviario Militare per le Forze Armate Alleate, inoltre, sottolineò formalmente come la sorveglianza sul treno relativo alla tratta Bari-Napoli via Potenza fosse una responsabilità delle Ferrovie e del Governo italiano.

Ma a presagio si aggiunge presagio: il commissario compartimentale di Polizia di Bari, Buono, scrisse alle Regie Questure di Brindisi, Taranto, Matera e Potenza e al Commissariato compartimentale di Polizia di Napoli per segnalare come il treno Bari-Napoli via Potenza fosse preso d’assalto da numerosi viaggiatori clandestini e paventando un “possibile nocumento all’ordine pubblico e all’incolumità delle persone”; inoltre chiese di disporre necessari servizi negli scali più importanti al passaggio del treno, allo scopo di consentire l’accesso solo ai passeggeri in possesso dell’autorizzazione delle Autorità alleate e del biglietto ferroviario. Proprio la questione dei passeggeri clandestini aveva tenuto banco, sin dal mese di gennaio del 1944, in relazione alla necessità di rafforzare il servizio di vigilanza per eliminare gli abusi ed assicurare un regolare servizio. Purtroppo non era agevole il controllo dei viaggiatori in quanto, in un periodo difficile come quello successivo all’armistizio, viaggi come quelli intrapresi sulla tratta tra Napoli e Bari erano l’unico modo che molte famiglie avevano per procurarsi il necessario per sopravvivere, così come afferma, a conclusione della sua relazione, Di Raimondo.

 

 

1.3 LA SCIAGURA DELL’8017

 

Nella notte tra il 2 e 3 marzo 1944 una delle più gravi tragedie ferroviarie mai verificatesi colpì circa seicento persone che percorrevano la tratta ferroviaria Battipaglia-Potenza, all’altezza della stazione di Balvano-Ricigliano.

Il punto preciso in cui avvenne la tragedia si trova nella “Galleria delle Armi”, che è situata tra la stazione di Balvano (Pz) e quella di Bella-Muro (Pz), ed è lunga circa due chilometri.

La galleria “Delle Armi” è la più lunga delle 37 che si incontrano su questa tratta: galleria numero 20 partendo da Battipaglia. Da un prospetto conservato nella IV unità speciale delle Ferrovie dello Stato risulta essere lunga precisamente 1 chilometro, 966 metri e 5 centimetri (anche se, sulla targa all’esterno della galleria, sono riportati 1968,78 m). Solamente altre tre gallerie su questa tratta superano il chilometro: la galleria “Botte” (numero undici, 1.934 metri e 26 centimetri), la “Ripabianca” (numero trenta, 1.137 metri e 28 centimetri) e la “San Licandro” (galleria numero cinque con 1.003 metri e 61 centimetri).

Lasciata la stazione di Balvano si passa un primo tunnel, si passa poi su di un ponte d’acciaio (la copertura in cemento armato è stata realizzata in seguito al terremo del 1980); segue un tratto all’aperto e delle aperture di ventilazione laterali che gli abitanti di Balvano chiamano i “14 finestroni”, seguiti da un’altra breve galleria e da un altro tratto all’aperto; altri “tre finestroni” ed un breve tunnel affiancato da una galleria che è chiamata “sbagliata”: sbagliata perché nel secolo scorso, durante la costruzione della galleria, questa fu scavata ed abbandonata perché non in linea con il tracciato. Fuori dalla galleria è presente un ponte che scavalca il torrente Platano e, a seguire, c’è la galleria “Delle Armi” dove, alla destra dell’entrata della galleria, è presente uno spiazzo dove una volta vi era un casello, già non più abitato nel 1944. All’interno della galleria, in fondo a destra, si intravede una luce che sembra indicare la fine della galleria, ma che in realtà la fine della galleria non è: si tratta, infatti, della luce che proviene dal condotto di aerazione, raggiungibile in mezz’ora, che dà nel vuoto e dal quale non si vede altro che le pareti di roccia fra le quali scorre il torrente Platano. La galleria è perfettamente rettilinea e, finito il rettilineo, proseguendo dritto, tenendo la sinistra, si raggiunge il condotto di aerazione, mentre seguendo i binari c’è una piega a destra a forma di “esse”, durante la quale si contano 37 “finestroni”. Dopo il trentasettesimo “finestrone”, finalmente si raggiunge la fine della galleria.

Il treno 8017 aveva appena imboccato la “Galleria delle Armi” quando inspiegabilmente perse velocità e si immobilizzò cinquecento metri all'interno della galleria.

Diverse centinaia di persone erano salite sul treno 8017 (creato per caricare legname da utilizzare nella ricostruzione dei ponti distrutti dalla guerra) nonostante si trattasse di un treno merci, composto prevalentemente da carri scoperti. Queste persone, uomini, donne ma anche bambini, adolescenti e ragazze, viaggiavano allocati in ogni luogo possibile, anche sui predellini dei carri e sul tetto dei carri merci coperti.

Si ebbe l’intervento della polizia militare alleata e alla stazione di Eboli alcuni abusivi vennero fatti scendere, ma più numerosi ne salirono alle stazioni successive e ciò non impedì che, pochi minuti dopo la mezzanotte del 2 marzo 1944, il treno 8017 entrasse in stazione a Balvano, carico di più di 600 persone.

Il treno 8017 era partito da Napoli in trazione elettrica ma a Salerno[8] era avvenuto un mutamento decisivo, in quanto la linea non elettrificata necessitava della trazione a vapore. E qui si concretizzò un elemento decisivo per la costituzione della tragedia perché vennero utilizzate non una ma due locomotive a vapore (476.020 e 480.016 di pertinenza del deposito di Salerno e, come tutte le locomotive dell'epoca, entrambe le macchine erano a cabina aperta, alimentate a carbone spalato da fuochisti e controllate da un macchinista) e, del tutto incongruamente, queste due locomotive a vapore vennero posizionate ambedue in testa al treno 8017, nonostante il treno stesso fosse molto lungo e la linea molto tortuosa e in salita, e nonostante il fatto che, non solo le prescrizioni della regolamentazione ferroviaria, ma la logica e il buon senso imponessero, in quelle condizioni, di utilizzare la cosiddetta “trazione simmetrica” con una macchia a vapore in testa e l’altra in coda, uso che era intervenuto a seguito dell’incidente che si era verificato nel febbraio precedente.

Dalla ricostruzione dell’incidente fatta da Nicola Raimo del 4 marzo 1944 emerge che la locomotiva 480.016 doveva essere inviata a Potenza come treno straordinario “O.L.” (“orario libero”, ossia ad orario non prestabilito). Per due ragioni quella macchina finì in testa all’8017: la necessità di evitare due treni sullo stesso percorso e la consapevolezza che, da Baragiano a Tito, l’8017 avrebbe avuto bisogno di un rinforzo in coda, a causa della ripidità della salita. Per la 480.016 la collocazione in doppia trazione fu inevitabile.[9]

Cinquanta minuti dopo la mezzanotte del 2 marzo 1944 il treno 8017 si mosse dalla stazione di Balvano: era composto di 45 carri e, appunto, di due locomotive in testa. La successiva stazione di Bella-Muro si trovava a meno di otto chilometri da quella di Balvano, e il treno 8017 avrebbe dovuto impiegare un tempo oscillante tra i venti minuti e gli ottanta minuti per raggiungere la stazione di Bella-Muro, ma il treno non vi giunse mai. Alle 5:10 del mattino del 3 marzo uno dei frenatori in servizio al treno giunse alla stazione di Balvano e comunicò al dirigente della stessa che il convoglio era fermo nella galleria delle "Armi" e che vi erano molti cadaveri. Una prima ricognizione fu disposta utilizzando la locomotiva del treno 8025, ma alle 5:25 la locomotiva dovette rientrare in quanto, a causa della presenza di molti cadaveri anche sulle banchine, era stato impossibile spostare il treno. Fu, quindi, inviata una squadra di soccorso con il triste compito di raccogliere le salme, permettendo così di portare il treno alla stazione di Balvano, dove giunse solo alle 8:40 del mattino.[10]

In Lucania, dunque, “si moriva di carbone”[11], come fu possibile affermare dopo gli accertamenti sul materiale che la Direzione Generale del Servizio Ferroviario Militare per le Forze Armate Alleate imponeva per i treni italiani. Prima dell’8 Settembre 1943 il carbone era di provenienza tedesca che poi, vista la situazione politica dell’Italia, venne sostituito con carbone fornito dagli Alleati. Carbone che giungeva a Salerno dalla Jugoslavia con la nave Liberty. Si trattava di carbone di piccola pezzatura e con molto zolfo, con potere calorifero insufficiente per le locomotive di cui disponevano le Ferrovie italiane, e che emanava gas tossici che spesso stordivano i macchinisti. Tutte cose che Francesco Mittiga, capo del deposito del personale viaggiante di Salerno, fece notare più volte agli Alleati, ma, come disse lui, “senza nulla ottenere, perché gli Alleati si rifiutavano di prendere qualsiasi provvedimento[12].

Si legge nei Verbali del Consiglio dei ministri del 9 marzo 1944 che:

Salvo diverse conclusioni da parte della Commissione presieduta dal Capo Compartimento di Napoli, che, con l'intervento di ufficiali e di tecnici della Direzione Generale del «Military Railway Service», sta svolgendo regolare inchiesta, la sciagura devesi attribuire alla pessima qualità del carbone fornito dal Comando Militare Alleato, la cui combustione dà luogo alla produzione:

a) di una forte percentuale di vapori di zolfo;

b) di una elevata quantità di ceneri, scorie e di residui volatili.

Ne consegue:

-           facile e continua ostruzione della griglia e quindi una insufficiente entrata di aria nel forno;

-           ostruzione dei tubi bollitori in caldaia con relativa difficoltà di tiraggio;

-           ritorno in cabina, ad ogni apertura del forno, di gas tossici che colpiscono il personale di macchina mettendolo in condizioni di non potere più fare servizio;

-           difficoltà nella condotta del fuoco;

-           depressione in caldaia e quindi diminuzione nello sforzo di trazione della locomotiva con conseguente lenta corsa e talvolta arresto del convoglio in piena linea là ove specialmente, come nelle gallerie, alle difficoltà di trazione si aggiunge lo slittamento delle ruote motrici per umidità esistente sulle rotaie [13].

Il bilancio fu, come detto, tragico, in quanto oltre 500 persone perirono in una tragedia non solo annunciata, ma addirittura evitabile, e le salme, come racconta Ugo Gentile, all’epoca capostazione della stazione di Baragiano, restarono per alcuni giorni all’interno della stazione di Balvano prima di essere inumate nel cimitero del paese. Sempre Gentile ricorda come i soccorritori, in quei momenti concitati, riuscirono a rianimare 96 persone attraverso la somministrazione di latte al fine di provocare il vomito e la pratica della respirazione artificiale.

Dai Verbali del Consiglio dei ministri del 9 marzo 1944[14] si apprende che, almeno nei primi momenti successivi alla tragedia, le colpe dell'accaduto ricaddero sui capistazione di Battipaglia, Balvano e Bella Muro in quanto, secondo quanto scritto nei verbali, essi non si erano curati di accertare la posizione del treno che, pur partito da una stazione, non era giunto in orario in quella successiva. Nei loro confronti fu, infatti, immediatamente disposta la sospensione dal servizio in attesa degli esiti dell'inchiesta.[15]

In effetti, una parte di ciò che viene verbalizzato si discosta dalla testimonianza di uno dei soccorritori, Gentile, dal cui racconto emerge un dato temporale circa il momento in cui fu dato il segnale di allerta: quando il treno aveva ancora tra le due e le tre ore di ritardo, il capostazione di Bella-Muro cominciò a preoccuparsi e ad attendere, come da regolamento, che il capotreno inviasse qualcuno per aggiornare sullo stato del treno (in effetti, ciò era già accaduto, infatti Masullo aveva inviato De Venuto alla stazione di Balvano per richiedere soccorsi), inviando un “guardalinee”, intorno alle 4 del mattino, per monitorare la situazione (che sarebbe giunto alla Galleria delle Armi intorno circa un’ora dopo, a causa della difficoltà incontrata per raggiungere il luogo del disastro).

Sempre la testimonianza di Gentile chiarisce come i capistazione siano stati dei semplici capri espiatori:

(…) quando è successa questa cosa qua, io tenevo un capostazione titolare con gli attributi, il quale la prima cosa che mi disse: ‘Ugo, prendi i registri e mettili in cassaforte’. Perché erano documenti ufficiali che io tenevo; perché se il treno fosse stato pesante e occorreva un’altra locomotiva, io ero obbligato a mandare da Baragiano una di queste locomotive per far spingere il treno. Però siccome le prestazioni delle due locomotive erano sufficienti per portare il treno a Baragiano, io non ero tenuto a farlo; e poi ci stava la zona, cioè era tutto trascritto, che io avevo trascritto, perché poi c’erano dei protocolli in cui si registravano tutti i telegrammi che arrivavano, e poi feci un bel rapporto di come erano avvenuti i fatti, ogni cosa. Non fui nemmeno interrogato perché intervenne il procuratore della repubblica di Potenza, e anche qui ho visto una quantità di notizie di responsabili, dei capostazione …ma non è vero, perché a noi non ci hanno rotto proprio le scarpe, furono dichiarati dopo siccome c’erano delle responsabilità degli americani in quanto erano carri che 8 di quelli pesavano anziché 8 tonnellate, pesavano 44 tonnellate; più poi tutti i viaggiatori che erano quasi 800, a 50 kg ciascuno erano altre 400 tonnellate, quindi il treno era 900 e rotte tonnellate. Quindi noi nella buona fede, cioè era un caso che fu infatti dichiarato un caso di forza maggiore, e il carbone non era buono ed era americano. Invece, molti giornalisti che volevano sapere se i capostazione erano stati arrestati, gli dissi: voi parlate, ma interrogate almeno le persone che erano sul posto. Noi che eravamo là, vigeva allora il regolamento che non potevamo andare, perché solo sul doppio binario poteva andare un’altra locomotiva in perlustrazione, quindi sul semplice binario non la puoi mandare; e il capotreno, mica a sapere che il capotreno era morto, ed erano morti tutti quanti. E fu dichiarato un caso di forza maggiore perché responsabilità nostre non ce n’erano, e noi osservammo pienamente il regolamento circolazione…è vero che è stata a lunga cosa, però ripeto , potemmo dimostrare che altri treni in precedenza sostavano due, tre ore per fare l’accudienza. Per giunta tutti questi ferrovieri che erano morti, erano tutti amici nostri, e a volte si mangiava anche insieme”.

Sulla vicenda, come un fantasma, aleggia sempre il dubbio (per i testimoni, più di un dubbio) che si intenda occultare le vere responsabilità per questioni di natura politico-militare.

 

 

1.4 LE TESTIMONIANZE: CONTRIBUTI PREZIOSI PER LA RICOSTRUZIONE DELL’EVENTO

 

Per conoscere realmente ciò che accadde quella triste notte bisognerebbe ascoltare la voce di chi si trovava sul convoglio della morte. Ciò sembrerebbe estremamente arduo dato che da fonti ufficiali[16] si salvò solo un fuochista che svenne e si riprese solo a disgrazia consumata, quando giunsero i primi soccorsi. In seguito si è appreso che vi furono altri superstiti tra i passeggeri ma questi si dileguarono per paura di essere fermati come abusivi o contrabbandieri. I passeggeri degli ultimi due vagoni, sebbene indeboliti e semisvenuti, riuscirono a salvarsi[17]. Alcuni di essi furono rianimati durante le operazioni di sgombero nella stazione di Balvano, altri ancora ripresero conoscenza già nell’ospedale di Potenza; per quest’ultimi vale quanto accadde al fuochista, anzi si può presupporre che non si siano neppure accorti di ciò che accadeva, probabilmente erano già dormienti negli attimi in cui la morte discese sul treno, data l’ora stimabile intorno all’una di notte. Tra questi c’era Antonio Gaudino che si trovava "nell'ultimo carro scoperto", e ricordò che "ad un certo momento il treno ritornò indietro e poi andò avanti, ritornò nuovamente indietro e si arrestò. Dopo circa un'ora, non resistendo agli effetti del gas che gli procurarono dolori di testa e perdita di forze dei muscoli delle braccia e delle gambe, scese dal carro e si portò fuori dell'imbocco della galleria dalla parte di Balvano e, buttatosi per terra, fu vinto dal sonno. Si svegliò - conclude il rapporto - al rumore del treno che retrocedeva verso Balvano"[18].

Le testimonianze dei superstiti giungono attraverso il lavoro di giornalisti e scrittori che hanno indagato sull’evento e dall’analisi di questi scritti si giunge ad elencare altri tre superstiti tra il personale del treno oltre al fuochista Luigi Ronga. Infatti negli articoli giornalistici di seguito riportati notiamo non poche incongruenze ma soprattutto restano molti dubbi su chi fu il primo dei frenatori a portare il triste annuncio: «Laggiù sono tutti morti, tutti morti!». La fatidica frase pare essere stata pronunciata secondo le diverse versioni da due frenatori giunti separatamente alla stazione di Balvano.

Luigi Ronga ha riferito che ad un certo momento si è sentito mancare il respiro ed è svenuto. Ricorda di avere visto il proprio macchinista nell'atto di manovrare la leva di inversione allo scopo, ritiene, di disporre la locomotiva a marcia indietro[19].

I gas di combustione avevano saturato l'aria della galleria a tal punto - ricorda Ronga - che la fiaccola ad olio vegetale posta sugli strumenti si spense, e tutto piombò nel buio. Il treno era giunto a circa metà della galleria delle Armi: le sale delle locomotive, complice anche la forte umidità di quella notte di marzo, continuavano a slittare, mentre i colpi di scappamento, sempre più ravvicinati, risuonavano sotto la volta della galleria come cannonate[20].

Ronga fu preso da un senso di nausea: sportosi dalla piattaforma nell'intento di trovare una boccata d'aria ancora respirabile in quell'inferno di fumo e di gas, perdette di colpo i sensi e precipitò dalla locomotiva nella sottostante cunetta di scolo dell'acqua, che fiancheggiava il binario. Rimase lì, svenuto, perdendo sangue da ferite alla testa e alle braccia[21].

Secondo il giornalista Nicola Raimo (la cui versione contrasta con le successive), dei ferrovieri, insieme a Ronga si salvò soltanto il frenatore di coda Roberto Masullo, che occupava un carro rimasto fuori dalla galleria. Masullo scese e risalì per qualche decina di metri il tunnel e, resosi immediatamente conto della tragedia, fu l'unico a mettersi in marcia verso Balvano per chiedere soccorsi.

Secondo la versione del giornalista Cenzino Mussa, invece, si salvarono anche Giuseppe De Venuto "operaio delle ferrovie che faceva da frenatore che viaggiava sull'undicesimo carro" e Michele Palo, frenatore che, secondo Mussa, raggiunse per primo Balvano e diede l'allarme[22].

Il racconto di Cenzino Mussa riguardo ai tre frenatori è molto particolareggiato, sembra attendibile e di prima mano, ma nulla dice in merito ai freni e nessuno, a quanto sembra, ha raccolto la versione di questi importanti testimoni[23].

Dal racconto di Gordon Gaskill, La misteriosa catastrofe del treno 8017, apprendiamo che Giuseppe De Venuto nel sentire il treno fermarsi, arretrare a scossoni e fermarsi di nuovo “scese dal treno e si diresse verso l'uscita della galleria dove trovò il frenatore Roberto Masullo steso a terra, stordito e colto da malore. De Venuto aveva capito ormai quale sorte fosse toccata a quasi tutte le centinaia di persone rimaste nella galleria. Masullo, che era un suo superiore, disse a De Venuto di correre subito a Balvano per dar notizia dell'accaduto. Cosa che fece. Semisvenuto, nauseato dal fumo, l'operaio cominciò ad avanzare carponi lungo i binari. Giunto a Balvano, si accorse che l'altro ferroviere lo aveva preceduto: Michele Palo”.[24]

Altre testimonianze che possono arricchire il quadro della ricerca vengono fornite dai primi soccorritori che giunsero sul luogo del sventura vale a dire il personale delle ferrovie inviato alla ricerca dell’8017 mai giunto a Bella-Muro.

Mario Restaino raccoglie la testimonianza di Mario Motta, deviatore che quella mattina alle 6:30 si accingeva a prendere servizio e, appresa la notizia, salì sulla locomotiva di soccorso inviata dalla stazione di Romagnano. Alla galleria "delle armi", gli ultimi tre carri dell'8017 erano fuori.

I soccorritori erano muniti di maschere e ciò permise loro di entrare nella galleria: dovettero farlo perché fu necessario sfrenare, cioè sbloccare i freni di 13 veicoli. Il macchinista della locomotiva fatta avanzare da Romagnano andò a controllare le leve della 480.016 e della 476.038: erano nella posizione di retromarcia[25]. Motta ricorda anche che alcuni superstiti riferirono che il treno, dopo una prima fermata, aveva avuto un breve spostamento in avanti. Motta ricorda anche di avere udito, molto evidente, durante il viaggio di rientro, “quel battito caratteristico che indica una sfaccettatura delle ruote dei carri”[26].

È confermato il fatto che la galleria era invasa dal fumo ancora diverse ore dopo l'incidente: "L'aria - racconta Motta - era gialla fino a un'altezza di circa venti centimetri da terra. Chi, dei viaggiatori, era caduto sulla massicciata era vivo perché a quell'altezza vi era un minimo di ventilazione. Comunque in quella galleria non vi erano mai stati problemi e su quel tratto di linea non si trovano segnali di alcun tipo[27].

Altra testimonianza importante è quella del capostazione Ugo Gentile, allora appena 19enne, di servizio nella notte del 2/3 marzo 1944 presso la stazione di Baragiano, il quale riferisce che “il sottoscritto era l’unico responsabile a decidere se occorreva o meno il rinforzo in coda da Romagnano e quindi la lunga sosta a Balvano e poi prima dell’ingresso nella galleria delle Armi era sistematicamente un fatto normale perché le inefficienze delle locomotive, bottino della guerra 15/18, e la pessima qualità del carbone era la causa principale delle lunghe soste per l’accudienza alle locomotive. Naturalmente alimentando il fuoco con carbone tipo legnite si provocava un fumo denso con combustione di ossido di carbonio che andava direttamente nell’abitacolo degli agenti alla guida delle locomotive con le note conseguenze. Ciò premesso il capostazione di Bellamuro da me sollecitato per telegrafo, l’unico mezzo di comunicazione, intervenne soltanto dopo l’abituale cosuetudine di attendere un congruo periodo di sosta per l’accudienza della locomotiva. Purtroppo per l’allora regolamento circolazione treni non era possibile inviare in ricognizione una locomotiva […] per cui era il Capotreno a prendere l’iniziativa di avvisare la stazione in caso di deficienza di trazione o per altro motivo che il capostazione di servizio non era a conoscenza. Da parte mia premevo l’arrivo del treno 8017 in quanto in stazione a Baragiano sostava il treno 8000 occupato da militari americani che dovevano raggiungere il fronte di Cassino ove era l’armata americana che combatteva contro i tedeschi. Aggiungo che di stanza a Baragiano vi erano due capistazione americani che con il principale ausilio dei ferrovieri italiani gestivano l’emergenza dopo la liberazione dai tedeschi la parte sud dell’Italia. Allo scrittore Barneschi che mi interpellò, prima della pubblicazione del libro[28], ho precisato la limitazione del numero degli intervenuti al soccorso, perché se ci fossero stati più soccorritori si sarebbero potuti salvare altri viaggiatori, dovuto alla difficoltà di rimuovere i cadaveri e non dare soccorso soltanto a chi dava segno di vita, anche questo fu la maggiore causa di tanti cadaveri[29].

Sempre Gentile, in una intervista raccolta da me il 31 marzo 2011, aggiunge dei particolari sull’accaduto: nello specifico, mi chiarisce che il treno 8017, a differenza di quanto avveniva normalmente, non aveva alcuna scorta, anche se tale affermazione contrasta con tutte le ricostruzioni ufficiali.

Tra i viaggiatori superstiti, uno in particolare ebbe salva la vita grazie alla sciarpa bianca che aveva in quel momento al collo[30]: si tratta di Domenico Miele, che si trovava in un vagone vicino alla coda del treno, ma ancora dentro alla galleria. Quando il fumo divenne eccessivo, s'avvolse la sciarpa intorno alla bocca e al naso, scese dal vagone e cominciò a camminare verso la coda. Era appena arrivato allo sbocco del tunnel quando si sentì mancare. Temendo di rimanere a terra se il treno fosse ripartito, salì semistordito sul vagone più vicino, un carro merci scoperto, il terzo dalla coda del treno, metà dentro e metà fuori la galleria. Miele non s'accorse più di nulla finché anche lui rinvenne la mattina dopo a Balvano e scoprì che i capelli, neri alla partenza del treno, erano diventati grigi.[31]

Significativa, infine, è l’esperienza di un sopravvissuto alla tragedia, Carlo Sannino, sicuramente unica nel suo genere: come si legge negli atti ufficiali, egli si trovava aggrappato al tender della prima macchina. Dopo essere svenuto si riebbe e, in preda ad allucinazione, si avviò verso l’uscita della galleria dalla parte di Bella-Muro. Probabilmente fu l'unico a compiere un simile atto.[32]

Intanto, verso le sette del mattino, la notizia era giunta anche a Balvano, il parroco suonò le campane, uomini e donne furono radunati dai carabinieri e si diressero verso la stazione per portare i primi soccorsi.

C'era il medico condotto, Orazio Pacella, che racconta: “Un silenzio irreale, la neve e tutti quei poveretti. Mostrai ai ferrovieri e ai contadini come si fa la respirazione bocca a bocca. Avevo solo cento fiale di adrenalina, non potevo permettermi di sbagliare. Saltavo da una vettura all'altra, cercavo un cenno di vita nei riflessi oculari, poi facevo l'iniezione al cuore. Nessun altro medico per tutta la mattinata. Poi arrivarono le autorità da Potenza con una dottoressa americana. Allontanarono tutti, anche me. Ne avevo salvati 51, mi restavano 49 fiale, avrei potuto salvarne altri. Protestai, Dio mio, fatemi salvare altre vite. Mi cacciarono. E questo è il tormento che mi accompagna da quel giorno[33].

C’era anche Vincenzo Pacella, all’epoca calzolaio quasi ventiduenne che partecipò alle operazioni di scarico delle salme dai carri allineandole sul marciapiede della stazione; gli uomini divisi dalle donne, ne contò 523 o 533. Pacella mi ha raccontato personalmente la scena che si trovarono davanti: i morti avevano il viso sereno come se dormissero, erano seduti, distesi, qualcuno aveva la sigaretta in bocca, per la maggior parte di loro la morte arrivò dolcemente. Tutti quelli che davano qualche segnale di vita venivano messi in sala d’attesa per essere rianimati. Nel frattempo iniziavano ad accorrere già i primi parenti alla ricerca dei propri cari. Alcuni riuscirono ad averne le spoglie per dar loro una degna sepoltura, come nel caso del dott. Iura, noto chirurgo che, abbandonato il suo lavoro di consulente dell’ospedale San Carlo di Potenza e dell’Ospedale Sant’Anna di Eboli, era ordinario di patologia chirurgica e di propedeutica clinica presso l’Università di Bari. Con sé, in quel viaggio, portò altri 90 studenti che dovevano raggiungere anche loro l’Università; invece chi non ne ebbe la possibilità dovette accontentarsi di un ultimo saluto[34] o perlomeno di recuperarne gli effetti personali se li ritrovavano, visto che non mancarono affatto episodi di sciacallaggio.

Verso mezzogiorno arrivarono da Potenza dei camion americani e i cadaveri vennero trasferiti davanti al cimitero di Balvano in attesa di essere tumulati, ma il cimitero non era in grado di poter ospitare un numero talmente elevato di defunti.

A tal proposito è significativa la testimonianza di Maria Le Caldare, che assistette alle manovre di soccorso: “Vennero dei camion da Potenza. Mamma mia. Caricavano i cadaveri e salivano per il paese. Il prete ebbe il tempo solo per una benedizione. Sembrava che gli inglesi volessero bruciarli[35]. In seguito il cimitero fu allargato e i cadaveri posti in quattro fosse comuni.

 

1.5 LA QUESTIONE DEL CARBONE

 

Tra i tanti misteri che circondano questa vicenda, uno in particolare riguarda, come è già stato detto in precedenza, il carbone.

Molte delle testimonianze, soprattutto quelle dei soccorritori e degli addetti ai lavori, lasciano ben più che supporre che la tragedia si sia consumata a causa della cattiva qualità del combustibile imposto dagli alleati.

Qualche giorno dopo l’incidente della Galleria delle Armi si ebbero altri due incidenti. Il 6 marzo 1944 si ebbe un altro decesso causato dal monossido di carbonio: si tratta del fuochista della locomotiva 480.012 di spinta al treno 8140, Gennaro Tramutola. Il 7 marzo, invece, tre soldati che viaggiavano su un treno militare sulla linea Salerno-Potenza vennero intossicati (ma si salvarono) dal monossido di carbonio in quanto il treno, pur non fermandosi in alcuna galleria, le percorse tutte a bassa velocità, e ciò fu sufficiente ad intossicarli.

Riguardo al primo dei due incidenti, i macchinisti del treno 8140 riferirono che il carbone utilizzato era diverso da quello solito, perché bruciava troppo velocemente e aveva una inferiore resa termica. Anche il macchinista capo Mochi, del deposito di Taranto, affermò che la causa principale dell’incidente era il carbone.

Interessanti sono le parole del capodeposito Giraldi, che affermò che c’erano state molte lamentele per la scarsa qualità de carbone, «troppo leggero, pieno di cenere e molto probabilmente tossico»[36], sottolineando che anche se le nuove forniture erano migliori rispetto alle precedenti (si riferiva all’ultimo mese), in ogni caso si trattava di un prodotto di scarsa qualità.

Nel verbale della Commissione che indagò su questo incidente e che cercò di nascondere la verità, emerge il documento contenente le risposte fornite dal maggiore Wilson: il carbone fornito a Grassano proveniva da Taranto, mentre quello di Potenza proveniva da Salerno. All’indomani della tragedia di Balvano, il carbone fu sostituito con un tipo gallese, di migliore qualità e resa che, per stessa ammissione del maggiore, produce minori esalazioni dispetto ai diversi altri tipi di carbone precedentemente utilizzati. È possibile trovare una correlazione tra il cambiamento di fornitura di combustibile e quanto accaduto nella Galleria delle Armi, e già questo atto compiuto dagli Alleati sembrerebbe una ammissione di responsabilità.

Un elemento fornisce la chiave di lettura di tutta la vicenda: prima dell’introduzione del carbone imposto dal Military Railway Service, sulla linea in questione non si era mai verificato alcun incidente, nonostante la pratica del “viaggio di frodo” fosse diffusa da tempo, mentre in quel brevissimo arco temporale si ebbero tre incidenti sulla linea Battipaglia-Potenza, più uno analogo, ma con meno vittime, sulla linea Viareggio-Lucca, avvenuto il 15 marzo, con il carbone alleato a fare da filo conduttore.

Le commissioni d’inchiesta, forse per paura di reazioni da parte degli Alleati, non ebbero il coraggio di tirare le somme e su tutta la vicenda, sui vivi e sui morti di una tragedia nella grande tragedia della guerra, calò inevitabile il silenzio.

E venne l’oblio.


 

CAPITOLO II

L’INCHIESTA, LA BUROCRAZIA E IL RISALTO MEDIATICO

 

 

2.1 L’inchiesta

 

Quasi nessuno sapeva allora che cosa stesse accadendo

e ancor oggi nessuno sa con esattezza che cosa sia avvenuto;

eppure quel disastro ha fatto più vittime d'ogni altra sciagura ferroviaria.

(Gordon Gaskill, "Selezione dal Reader's Digest", Luglio 1962)

 

Un insieme di eventi negativi contribuì a scatenare una delle più gravi tragedie ferroviaria della storia. Divenne essenziale scoprire cosa, esattamente, era accaduto, sia per dare giustizia alle vittime e ai loro congiunti, sia perché si rendeva necessario comprendere se quanto accaduto avrebbe potuto ripetersi.

Venne subito istituita una commissione parlamentare che, però, non rilevò alcuna responsabilità per l'accaduto, che venne ritenuto una sciagura per cause di forza maggiore. Tuttavia vennero avanzate ipotesi per alcune infrazioni secondarie.

Il treno avrebbe dovuto essere fermato a Battipaglia nonostante le due locomotive fossero nominalmente sufficienti al traino, e avrebbe dovuto essere messo in regola con le nuove normative; era noto inoltre che il carbone fornito non era in grado di sviluppare sufficiente potenza per mantenere le massime prestazioni delle macchine.

Vennero sollevati dubbi sulla tempestività dei soccorsi e sull'operato dei capistazione di Balvano e Bella-Muro, che non accertarono subito la posizione del treno quando questo apparve in ritardo sulla tabella di marcia. Tuttavia nella confusione postbellica era normale che le comunicazioni fossero intermittenti e i treni portassero grande ritardo: non era raro che occorressero oltre due ore per percorrere i 7 km della tratta.

Inizialmente venne anche supposto che i macchinisti non avessero adeguatamente regolato le sabbiere, che avrebbero potuto evitare lo slittamento delle ruote.

Infine la catastrofe venne attribuita principalmente a «una combinazione di cause materiali, quali densa nebbia, foschia atmosferica, mancanza completa di vento, che non ha mantenuto la naturale ventilazione della galleria, rotaie umide, ecc., cause che malauguratamente si sono presentate tutte insieme e in rapida successione. Il treno si è fermato a causa del fatto che scivolava sulle rotaie e il personale delle macchine era stato sopraffatto dall'avvelenamento prodotto dal gas, prima che avesse potuto agire per condurre il treno fuori del tunnel. A causa della presenza dell'acido carbonico, straordinariamente velenoso, si è prodotta l'asfissia dei passeggeri clandestini. L'azione di questo gas è così rapida, che la tragedia è avvenuta prima che alcun soccorso dall'esterno potesse essere portato»[37].

Venne notato che le disposizioni per la costituzione del treno venivano direttamente dal Comando Alleato, e che comunque il personale di stazione e viaggiante non avrebbe potuto fermare il treno e chiederne la modifica. Lo stesso comando organizzò un treno per verificare le condizioni dell'incidente, con il personale dotato di maschere ad ossigeno, che rilevò l'effettivo sviluppo di quantità anomale di gas tossici.

In pochi si salvarono, ma di loro non si seppe nulla per molti anni; degli altri fu raccontato ben poco, furono dichiarati abusivi e presto vennero dimenticati.

Molti dei parenti delle vittime intentarono causa alle Ferrovie dello Stato, ma le ferrovie declinarono ogni responsabilità, anche perché secondo la complicata situazione dell'equilibrio dei poteri tra le amministrazioni italiane e il comando statunitense non era immediato nemmeno risalire a chi avesse la responsabilità della gestione di quella particolare tratta.

Per spegnere sul nascere una vertenza che avrebbe potuto trascinarsi per anni, il Ministero del Tesoro sancì l'emissione di un risarcimento come se si trattasse di vittime di guerra.

Peraltro molti dei passeggeri a bordo del treno erano in possesso di un "regolare" biglietto ferroviario[38], che li qualificava quindi come passeggeri e non come clandestini. Questa condizione, che avrebbe implicato la possibilità di richiedere cospicui risarcimenti all'ente che gestiva la linea, sarebbe passata sotto silenzio durante le inchieste ufficiali sulla tragedia. Le fonti ufficiali tuttavia parlano solo di clandestini, questione supportata dal fatto che il treno era classificato come "merci" e quindi non autorizzato al trasporto di passeggeri paganti.

 

 

 

 

2.2 COME LA BUROCRAZIA HA “OSTACOLATO” LA RICERCA DELLA VERITÀ

 

La maggior difficoltà nella ricostruzione del disastro di Balvano è collegata alla strana mancanza di documenti ufficiali, almeno in Italia, per cui la più gran parte della ricostruzione è basata sui giornali dell'epoca e sulle testimonianze raccolte[39], tra l’altro in numero estremamente ridotto.

L’unico documento ufficiale integralmente consultabile reso pubblico subito dopo la sciagura è il verbale del consiglio dei ministri del governo Badoglio del 9 marzo 1944 che sancisce rapidamente le sue decisioni elencate nella relazione del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri l'Avv. Dino Philipson, dopo primi accertamenti eseguiti da alcuni funzionari del Sottosegretariato, subito inviati sul posto, circa il grave incidente in oggetto.

L’intera tragedia fu liquidata in poche righe, infangando la memoria di persone oneste che, però, era più semplice far passare per “delinquenti”:

Il Ministro delle Comunicazioni riferisce sul sinistro ferroviario della linea di Potenza il quale è da attribuirsi alla pessima qualità di carbone fornito dagli Alleati. I morti sono 517. Tutto il personale ferroviario addetto al treno è deceduto, all'infuori di un fuochista. Tutti gli altri erano viaggiatori di frodo.

Questo estratto dal verbale del consiglio dei ministri del 9 marzo 1944, ore 16, tratta la questione con una leggerezza impressionante, e neppure l’allora Re se ne preoccupò.

All’interno del verbale risalta subito un dato contrastante con quanto riferito dal Ministro delle Comunicazioni nella stessa seduta: infatti il Ministro parla di 517 morti mentre nella relazione del Sottosegretario sono indicate 501 salme scaricate e trasportate nel cimitero di Balvano.

Riguardo ai 16 morti che non raggiunsero il cimitero si può ipotizzare che siano stati recuperati dai propri familiari o più semplicemente un errore di conta che rende fin da ora estremamente complicato giungere al numero esatto delle vittime.

Questa relazione inoltre fornisce un’erronea misura della “galleria delle armi” di 1692,22 metri, in quanto sappiamo precisamente da un cartello posto all’ingresso del fatidico tunnel che la sua lunghezza è di 1968,78 metri. Oltre a queste imprecisioni si rileva che:

la sciagura devesi attribuire alla pessima qualità del carbone fornito dal Comando Militare Alleato, la cui combustione dà luogo alla produzione:

a)       di una forte percentuale di vapori di zolfo;

b)      di una elevata quantità di ceneri, scorie e di residui volatili”.

Alcune responsabilità vengono contestate anche al personale delle ferrovie, “Tuttavia sono state rilevate le seguenti gravi infrazioni: […] a) il capostazione di Battipaglia non avrebbe dovuto consentire la effettuazione di un treno avente peso superiore alle 350 tonn. (questa misura venne introdotta in seguito ad un episodio analogo avvenuto qualche tempo prima in un tratto tra Baragiano e Tito in cui perì il macchinista a causa delle esalazioni venefiche della locomotiva. Il tratto in questione presenta una pendenza maggiore rispetto a quella della galleria delle Armi) […] b) i Dirigenti delle stazioni di Balvano e di Bella-Muro hanno commesso delle gravi infrazioni al regolamento sulla circolazione in quanto non si sono curati di accertare la posizione del treno partito da una stazione e non giunto in orario nella successiva.

Forse il loro tempestivo interessamento, come del resto prescrivono le Norme di Circolazione, avrebbe potuto rendere meno grave e meno tragica la sciagura che ha causato tante vittime[40];

c) non è del tutto da escludere che il personale di macchina abbia trascurato di assicurarsi, all'atto della partenza, del regolare funzionamento delle sabbiere e che ciò abbia impedito di superare, al momento opportuno, lo slittamento delle ruote”.[41]

Si legge anche che non si è potuto indagare a fondo in quanto non sono stati ritrovati superstiti al di fuori del fuochista , il quale raccontò solo di aver visto il macchinista posizionare la leva nel tentativo di invertire il senso di marcia “e la leva delle locomotive fu trovata realmente disposta nella posizione indicata dal fuochista” dopodiché perse i sensi e non ricordò neppure come fosse riuscito a giungere alla stazione di Balvano per dare l’allarme[42].

Sebbene l’inchiesta avesse preso in considerazione le testimonianze di dozzine di funzionari e dipendenti delle ferrovie italiane, così come di personale dell'esercito americano, poco venne portato alla luce sulle cause dell'incidente e sulle conseguenti responsabilità. Dopo un attento esame da parte del generale Gray e dei suoi collaboratori, l'incidente venne dichiarato ufficialmente “causa di forza maggiore"[43].

Nel comune di Balvano è conservato un vecchio registro comunale in cui c'è l'elenco dei corpi identificati: 429, null’altro. Gennaro Francione nel suo “Webprocesso” riferisce di un tentativo dell’allora sindaco di intraprendere un’inchiesta per accertarne le responsabilità ma fu prontamente distolto dalle autorità alleate.[44]

L’ultima indagine fu condotta dal giudice del tribunale di Potenza. Ma nel '46 l'intera pratica veniva archiviata, “non essendo stati riconosciuti gli estremi del reato”. Ancora una volta i tentativi di far luce sull’accaduto si risolvevano nel nulla.

Luisa Cozzolino, vedova Palombo, fu la prima ad iniziare un’azione legale per risarcimento danni, citando le Ferrovie dello Stato. Poi, presso il tribunale di Napoli, alla sua si aggiunsero le citazioni di trecento famiglie: per la perdita del marito, del fratello, della sorella, della madre, del padre, del figlio, della figlia. Tutti deceduti sul treno n. 8017[45].

In una relazione inviata dal ministro dei Trasporti a quello del Tesoro, nel gennaio del 1952, si legge: "Il treno si fermò perché il macchinista fu colpito dalle tossiche esalazioni dei prodotti gassosi della combustione del carbone, particolarmente ricco di ossido di carbone. In proposito vale notare che, da parte del Comando alleato, venne imposto l'uso di tale carbone, assolutamente inadatto per le locomotive allora in esercizio". Anche gli Alleati condussero una inchiesta (affidata ai capitani Osborn e Gilberston dell'armata francese), ma i risultati non furono mai resi noti[46].

Dopo una tortuosa e lunga vicenda giudiziaria, i parenti delle vittime hanno ottenuto un risarcimento di 320.000 lire con una sentenza che ha inserito la vicenda del treno n. 8017 tra gli "eventi bellici" e ha fatto valere la legge speciale (N. 10, del 9 gennaio 1951) di cui è competente il Tesoro e in base alla quale "viene concessa un'indennità per danni immediati e diretti causati da atti non di combattimento, dolosi o colposi, delle Forze armate alleate". Ma la burocrazia riscattò la sua precedente benemerenza con il ritardo nelle liquidazioni le quali non sono ancora state versate[47]

Mario Restaino riporta "un appunto" ottenuto il 16 ottobre 1993 dall'on. Pasquale Lamorte, già Presidente della Commissione Trasporti della Camera dei Deputati. Egli lo aveva avuto, su sua richiesta, il 28 settembre. Il testo cita: “In merito al disastro ferroviario avvenuto nella notte tra il 2 e 3 marzo 1944 sulla tratta Battipaglia-Potenza, nella galleria delle "Armi", ubicata tra le stazioni di Balvano e Bella-Muro, fino ad oggi non si sono rinvenuti atti riguardanti eventuale inchiesta amministrativa o giudiziaria svoltasi all'epoca dell'accaduto. E' stato riferito dagli Uffici competenti a custodire gli atti di eventuali inchieste svoltesi, che tutto il materiale cartaceo non è più disponibile. Le vane ricerche sono state svolte con ogni impegno sia presso la Sede centrale delle FS, sia presso il Compartimento ferroviario di Napoli, ed in particolare presso il Capo unità del tratto di linea interessato.

Dal ricordo di alcuni congiunti delle vittime, si è appreso che la strage dei passeggeri avvenne per avvelenamento provocato dal fermo della locomotiva a vapore, in un tratto in salita, a metà galleria della lunghezza di 1.692 metri.

Si fa riserva di fornire ulteriori notizie, appena possibile, dovendo proseguire le ricerche presso la biblioteca centrale delle F.S. e presso la Funzione Organizzazione, i cui Uffici provvidero a liquidare £.320.000 per ogni vittima, a favore dei familiari.

Ove anche queste ricerche dovessero risultare vane, resterà la sola possibilità di chiedere notizie alle redazioni dei quotidiani dell'epoca"[48].

L’ultimo atto è dovuto all’On. Molinaro il quale nel 2004 presenta una proposta di legge, rimasta tale, in cui si propone l’istituzione del Giorno della memoria e del Museo della memoria in ricordo delle vittime della sciagura ferroviaria di Balvano del 3 marzo 1944.

Nel testo si chiede altresì di continuare a far luce sulla tragedia in quanto: “La ricostruzione dell'incidente, dopo sessanta anni, è ancora frammentaria e parziale. Persino le Forze alleate di stanza in Italia avviarono una inchiesta sull'incidente i cui risultati sono ancora secretati”, quindi desecretarne tutti gli atti e i documenti riguardanti la sciagura di Balvano compresi quelli coperti da segreto militare[49].

 

 

2.3 L’ECO MEDIATICA DELLA TRAGEDIA

 

In contrapposizione alla pochezza della documentazione “ufficiale”, si ebbe un fiorire di articoli che tentarono di analizzare l’accaduto sotto tutti i punti di vista. Rilevante, ai fini di una definizione della portata del disastro, il fatto che anche alcuni giornali stranieri si occuparono dell’accaduto.

La situazione della stampa nell’immediato dopoguerra non era semplice, infatti era presente una forte censura: "in fatto di informazioni il Quartier generale alleato si pone compiti di censura, di controllo e di propaganda. Questi compiti sono affidati ad un reparto militare speciale denominato PWB, Psycological Walfare Branch, letteralmente Branca per la guerra psicologica, i cui quadri sono formati in prevalenza da giornalisti inglesi e americani, alcuni dei quali conoscono l'Italia per avervi lavorato prima della guerra"[50].

Riguardo alla tragedia ferroviaria, il primo articolo apparso su carta stampata risale al 5 marzo 1944, immediatamente (per la tempistica dell’epoca) dopo i fatti. “L’Ordine”, periodico della DC pubblicò in terza pagina: “La disciplina dei trasporti” recita il titolo, il testo è senza commento: “Mentre andiamo in macchina apprendiamo che tra Picerno e Baragiano un treno viaggiatori, proveniente da Napoli, per il sovraccarico non ha potuto superare una galleria. Conseguenza: ben quattrocento persone morte di asfissia! Ci sono mille motivi per pensare che quel sovraccarico era di contrabbandieri e contrabbando. Imploriamo, a nome delle vittime, che ci si decida una buona volta a regolare il traffico dei viaggiatori”.

Il 6 marzo anche la stampa nazionale si occupò del triste evento: il Corriere della Sera ospitò una piccola colonna in prima pagina: “Nell'Italia meridionale Cinquecento morti per soffocazione in una galleria

Lisbona 6 marzo.

L'agenzia Reuter comunica da Napoli che cinquecento italiani sono periti venerdì mattina per asfissia in una galleria ferroviaria dell'Italia meridionale. Altre 49 persone sono attualmente degenti all'ospedale. Per mancanza di treni viaggiatori, un gran numero di persone era salito su un merci diretto verso oriente, stipando i carri aperti che lo componevano. Nell'attraversare una lunga galleria il treno, che già procedeva assai lentamente, rallentava ancora la marcia, sicchè il denso fumo che ingombrava la galleria stessa in seguito al passaggio di altri convogli provocava la soffocazione della maggior parte dei disgraziati viaggiatori”.

Lo stesso giorno la notizia rimbalzò sulla stampa americana[51] su ben tre giornali, tra cui “The New York Times”, e il giorno seguente anche a Londra[52],; le notizie furono molto simili tra di loro e riferirono di un treno nel sud Italia preso d’assedio da centinaia di passeggeri che per il troppo peso si arrestò in un tunnel e per i fumi delle macchine morirono più di 500 persone la maggior parte clandestini - secondo The Times e The Monessen Daily Independent[53] -.

Il 7 marzo anche La gazzetta del Mezzogiorno si occupa del caso e stranamente il trafiletto appare come una traduzione quasi fedele dell’articolo prima citato.

Da questi primi dati si evince chiaramente che: il treno si trovava in una galleria in un luogo imprecisato del sud Italia ed era preso d’assedio da centinaia di abusivi; le cause furono l’eccessivo peso che impedì al treno di proseguire e il fumo che saturò il tunnel avvelenando i passeggeri; ci furono più di cinquecento morti e qualcuno si salvò. Dopodiché non se ne scrisse più fino al 23 marzo quando Il Corriere di Salerno e The New York Times pubblicarono il risultato dell’inchiesta sul disastro ferroviario del 3 marzo conclusa dalla commissione ufficiale la quale sentenziò che «La catastrofe è stata determinata da una combinazione di cause materiali, quali densa nebbia, foschia atmosferica, mancanza completa di vento, che non ha mantenuto la naturale ventilazione della galleria, rotaie umide, ecc., cause che malauguratamente si sono presentate tutte insieme e in rapida successione. Il treno si è fermato a causa del fatto che scivolava sulle rotaie e il personale delle macchine era stato sopraffatto dall'avvelenamento prodotto dal gas, prima che avesse potuto agire per condurre il treno fuori del tunnel. A causa della presenza dell'acido carbonico, straordinariamente velenoso, si è prodotta l'asfissia dei passeggeri clandestini. L'azione di questo gas è così rapida, che la tragedia è avvenuta prima che alcun soccorso dall'esterno potesse essere portato. È stato constatato che nessun fattore ha contribuito più di un altro; quindi si può trovare giustificazione dell'avvenuto, classificandolo, con fraseologia legale, un «caso di forza maggiore» (in inglese “act of god”) piuttosto che negligenza di personale e difetto di macchine. La cifra ufficiale mostrò che invece di 509 morti, come precedentemente annunziato, le vittime furono 426 vittime, per asfissia prodotta dall'acido carbonico[54].

Solo grazie alle battaglie legali dei parenti delle vittime “La questione è tornata a galla, in sordina, nel 1946, ma soltanto oggi, alla vigilia del giudizio di appello, il velo si è squarciato completamente”.

Lo Stato perdendo avrebbe dovuto “spendere un miliardo tra risarcimenti e spese, a meno che non si riesca a spuntarla con il ricorso in Cassazione. Un miliardo per pagare 427 vite umane[55]. Quest’ultima ipotesi nel 1951, venne riportata alla cronaca da Oggi e all’estero dal Time di New York, che interruppero un silenzio durato alcuni anni per pochi mesi.

Successivamente iniziarono ad emergere le prime ricostruzioni tecnicamente più dettagliate, per lo più su riviste americane dedicate ai treni; in Italia ciò avvenne solo nel 1956 grazie a Giulio Frisoli che pubblicò in L’Europeo un dettagliato resoconto in tre puntate avvalendosi delle testimonianze del personale e di alcuni superstiti.

Col trascorrere degli anni pian piano emerse la sete di giustizia, dignità e memoria di quanti persero i propri cari; anche grazie alla sete di conoscenza di coloro i quali imbattendosi, anche casualmente, in questo fatto, non riescono ancora a farsi una ragione di come sia stato possibile ignorare per molto tempo la tragica morte di più di cinquecento persone, sono stati pubblicati romanzi e storie da persone coinvolte emotivamente nella vicenda per motivi estremamente differenti, sempre tenendo presente il nefasto sfondo della guerra.

Così sono stati scritti altri articoli e indagini più o meno approfondite (l’ultima e anche la più dettagliata è l’opera di Gianluca Barneschi, Balvano 1944), pur rimanendo in una situazione di scarsità di fonti, come documenti introvabili e testimoni che, col passare degli anni, ci lasciano o perdono i ricordi. L’unico problema che tutti questi scritti risultano essere strettamente correlati tra loro come una matrioska e non sono in grado di aggiungere nuovi elementi (come d'altronde questo lavoro).

Nel film Tutti a casa del 1960 diretto da Luigi Comencini e con Alberto Sordi, l'episodio del treno superaffollato bloccato dal fumo in galleria è una diretta citazione della tragedia del treno 8017.

Un altro contributo importante alle memoria lo offre il cantautore statunitense Terry Allen con il brano “Galleria dele Armi” contenuto nell’album Human Remains del,1996.

Negli ultimi anni sono stati realizzati convegni e seminari anche a livello accademico, come il progetto dell’associazione Sui-Generis Viaggio nella storia: il Treno Maledetto”, nel quale sono stato personalmente coinvolto nella fase di promozione e realizzazione e che ha visto coinvolte l’Università degli Studi di Salerno e l’Università della Basificata, sopratutto grazie alla collaborazione scientifica e agli sforzi del prof. Vincenzo Esposito, il quale ne ha realizzato uno documentario.

In questo processo sono sempre più coinvolte le varie istituzioni a livello locale e si spera di giungere sempre più in alto fino ad arrivare al riconoscimento da parte dello Stato italiano del giorno 3 marzo come Giornata della Memoria delle vittime dell’8017.

Una grande spinta alla ricerca oggi è data da internet che permette praticamente a chiunque di poter attingere alle informazioni finora disponibili e fa da vettore tra i vari gruppi di interesse: infatti in relazione all’evento in esame si possono segnalare due siti, www.antiarte.it e www.trenidicarta.it, che oltre ad essere dei maxi-contenitori in cui è contenuto tutto il materiale finora prodotto, sono delle vere e proprie community di persone che tengono ancora vivo l’interesse per il treno della morte. Anche in www.facebook.com, la community più grande a livello planetario e la più in voga del momento, è nato un gruppo dedicato al treno 8017.

Tra l’altro navigando in rete non è difficile imbattersi in blog che ultimamente nascono a ritmo sempre maggiore consentendo sempre a più persone di entrare in contatto, attraverso il mondo virtuale, con la realtà di questo triste evento ed è facile leggere lo stupore sul viso di chi ne viene a conoscenza per la prima volta.


 

CAPITOLO III

DOPO LA TRAGEDIA, L’OBLIO.

DOPO L’OBLIO, LA MEMORIA

 

3.1 LA RIMOZIONE

 

In tutte le epoche e culture la storia è scritta sempre dai vincitori.

La storia può essere affidata alla scrittura e quindi non vi sono limiti alla quantità di fatti e nozioni che possono essere conservati nel tempo. Nelle società che non utilizzano questo strumento la trasmissione delle conoscenze è affidata ai singoli individui e alla loro capacità di ricordare.

Come è noto il Governo italiano dell’epoca della tragedia del treno 8017 era fortemente controllato dalle forze alleate, le quali tentarono di nascondere agli occhi di tutti un’immane tragedia. Il compito fu molto semplice, bastò una forte censura e rendere inaccessibili tutti gli atti ufficiali; il resto lo fece la guerra.

La tristezza e la paura che generava il conflitto avevano piegato il morale degli italiani, si viveva a fatica, ogni giorno era pieno di orrori, c’era un paese e molte vite da ricostruire; la cosa migliore da fare era dimenticare. Infatti gli orrori della seconda guerra avevano consegnato alla memoria una mole incredibile di eventi tale da saturare la memoria collettiva, dove le vittime del “treno della morte” non trovarono alcun posto.

Il motivo per cui si mise in atto questo tentativo di rimozione fu, presumibilmente, la volontà di non abbattere ulteriormente il morale della nazione. Il “Times”, nel 1951, confermò che “il Governo alleato si sforzò di occultare l’incidente per evitare l’effetto deprimente sul morale degli italiani”; ma con ogni probabilità si volevano nascondere le vere responsabilità e cercare di mantenere la fiducia da parte degli italiani nei confronti degli anglo-americani.

Nel definire “viaggiatori di frodo” tutti defunti c’era il chiaro intento politico di minimizzare l’accaduto, rendendoli morti di “serie B”, più facili da dimenticare; emblematico è il racconto di Alessandro Perissinotto. In un suo romanzo, le vicende del protagonista si intrecciano con la storia dell’8017. Le riflessioni del protagonista, Adelmo Baudino, riguardavano il “diverso il peso dei morti”. Nel 1944 si moriva per svariati motivi, scrive Perissinotto, ma, continua, come è possibile che la morte di 500 persone in un treno sia inutile e insensata mentre per altre centinaia di morti (Foibe, Fosse Ardeatine) il destino abbia riservato una fine gloriosa? Per quest’ultimi c’era un perché, una causa e una ragione per cui morire; per i morti della galleria non c’era nulla, solo la morte stessa[56].

Affermare che le responsabilità morali vadano ascritte ai nostri occupanti non sembrerebbe un azzardo: erano loro che regolavano i trasporti, organizzavano gli itinerari, fornivano il carbone. In una pratica ingiallita dell'Avvocatura di Stato è riportata la deposizione di un funzionario in carriera all'epoca della A.M.G.O.T.[57], dove si dice: "Tutti gli ordini relativi all'organizzazione, al movimento e ai servizi giungevano direttamente dal M.R.S. (Military Railways Service), ossia dal generale Gray e dal colonnello Horek"[58]

Fu “un disastro dimenticato con la stessa velocità con la quale ufficiali inglesi e americani intimarono di scavare tre grandi fosse comuni nel cimitero di Balvano per seppellire le centinaia di cadaveri, che non sarebbero mai stati conteggiati né fra i morti di guerra né tra quelli della pace da riconquistare. Erano i morti della miseria, da dimenticare[59].

L’oblio prevalse, la stampa diffuse pochissime notizie, senza alcun particolare, e nel corso degli anni dalle sporadiche analisi e ricostruzioni non si è potuto apprendere ancora oggi la verità, non ci sono responsabili e non si può contare un numero certo delle vittime (da 426 identificati a oltre 600). Si può solo cogliere il dolore dei loro parenti; gli unici che si sono prodigati per i loro cari. Dapprima s’impegnarono per chiedere giustizia; ora, dopo oltre 60 anni, rivendicano che lo Stato riaccolga i propri figli restituendogli più di mezzo secolo di dignità.

 

 

3.2 I CUSTODI DEL RICORDO

 

I parenti delle vittime sono stati, in tutti questi anni di oblio, i veri custodi della memoria. Esemplare è l’operato di Salvatore Avventurato, che nella sciagura perse il padre, il fratello e lo zio; egli si prodigò fino alla morte per ricordare i suoi cari. Quando apprese la notizia e riuscì a raggiungere Balvano i morti erano già stati sepolti nelle fosse comuni, per cui nulla poté fare per loro. Promise alla madre una tomba per quei poveretti.

Don Salvatore, come era conosciuto nel paese, fu un esempio di generosità; dopo molti anni di lavoro e sacrifici e riuscì ad edificare nel 1972 una cappella, un “in memoria degli stessi, al ricordo dei posteri, fece erigere questo asilo di pace, ove ricompose i miseri resti”.

A Balvano c’è sempre stato un via vai di “napoletani”, ad ogni novembre e marzo tornano per deporre qualche fiore e pregare per le anime dei propri congiunti. Oggi purtroppo sono sempre di meno ma non perché sia morto il loro interesse, semplicemente è passato molto tempo.

In tutti questi anni neppure la popolazione di Balvano ha dimenticato. Il fato ha voluto che a questo piccolo paesino tra le colline lucane, palcoscenico di questa triste storia, fosse affidata la memoria. In paese tutti sanno della sciagura delle “Armi” e molti hanno partecipato alle operazioni di soccorso nonostante l’orrore che si trovarono davanti agli occhi. Tanta morte in così poco tempo e spazio è impossibile da cancellare ed è sentimento diffuso far sì che si continui a ricordare e che le ricerche vadano avanti. Il pianto di centinaia di famiglie residenti a più di 100 km è stato affidato a questa comunità e ad un cimitero troppo piccolo.

Dal racconto di Pietro Rossini emerge un quadro delicato e triste, la storia di un padre che parte per il bene della sua famiglia, per barattare alcune povere cose, tra cui il suo cappotto militare, con del cibo, e che non farà più ritorno a casa.

La vita di Giorgio Rossini si ferma a 47 anni nella Galleria delle Armi.

Ciò che il Sig. Pietro sa della morte di suo padre, è che gli “errori umani sono quelli dei ferrovieri, poi degli alleati che hanno messo le due macchine che non ce la potevano fare. I ferrovieri perché hanno messo due macchine in testa al treno, e queste due macchine non si guardavano tra di loro perché una delle due era austriaca ed aveva il posto di guida all’altro lato, e l’unico segnale per comunicare tra di loro era il fischio del treno, ma sotto a quel fumo nemmeno il fischio del treno si sentiva più”. Secondo il Sig. Pietro, se ci fosse stata una macchina avanti e una indietro al treno, il gas sarebbe stato ridotto della metà perché la seconda locomotiva avrebbe scaricato all’esterno.

Ricorre, anche nel racconto del Sig. Pietro, la questione del carbone: “E poi, la causa principale è il carbone che era jugoslavo e non italiano. Quello che tenevamo noi, da dove lo portavamo noi, era il migliore e se lo sono presi gli alleati per far fronte alla guerra, a Cassino”.

Riguardo a quanto lo Stato ha fatto sino ad oggi, la risposta del Sig. Pietro è lapidaria: “Non hanno fatto niente, perfettamente niente”. Egli sostiene che il Governo Badoglio appena insediato non poteva assumersi una responsabilità simile, “e allora hanno cancellato tutto. Gli alleati volevano bruciare i morti, e gli americani hanno tolto proprio dagli archivi queste cose”. Interviene, a questo punto, Roberto, genero di Pietro: “Anche perché erano loro i responsabili, e hanno pensato che tanto è una tragedia nella grande tragedia della guerra e hanno preferito occultare il tutto”.

Il Sig. Pietro imputa anche alle condizioni meteorologiche di quella notte parte della colpa: “il freddo era il più rigido che ancora non è venuto quello qua, quel freddo. Io mi ricordo che l’aria era ferma, gelata, nevicava e non si respirava. E questo fa si che l’umidità non fa salire il fumo”. In relazione a questo, Roberto sottolinea come l’idea di bruciare i cadaveri per evitare un’epidemia sarebbe stata semplicemente un tentativo di cancellare le prove, “perché sapevano che se qualcuno avesse iniziato a fare ricorso, gli americani avrebbero dovuto sborsare un sacco di soldi”.

Il ricordo della tragedia rivive non solo nei cuori di chi, come il Sig. Pietro, ha perso un caro, ma anche sul palcoscenico, in uno spettacolo, intitolato “O' cunto do' quatto e coppe”, in cui le storie narrate dagli attori, giovani detenuti del carcere dell'ICATT (Istituto di custodia attenuata per tossicodipendenti) di Eboli che hanno aderito al programma “Arte per la salute” e che compongono il gruppo “Uommene & tambure”, ripercorrono le drammatiche storie delle vittime della tragedia della Galleria delle Armi. Il Sig. Pietro ha saputo dal parroco del suo paese dell’esistenza di questo spettacolo, ha deciso di assistervi ed ha sinceramente apprezzato la rappresentazione, che lo ha profondamente commosso: “Io piangevo solo qua… la verità, questi ragazzi sono stati fantastici”.

Proprio il regista di questa particolare rappresentazione, Pino Turco, si è reso disponibile a rilasciare una intervista, mostrando meraviglia in quanto, come lui stesso dice, “Grazie a te per l’attenzione… sei il primo, in due anni, che si mostra interessato alla vicenda”.

Pino Turco racconta di essere venuto a conoscenza della tragedia di Balvano nel corso di Scuole Aperte presso l’I.C. Giulio Cesare Capaccio di Campagna (Sa), quando il 3 marzo 2008 è accaduto che il Prof. Vincenzo Esposito “ha narrato una storia terribile che noi abbiamo messo nel nostro contenitore ‘cose da non dimenticare’. È la storia, di cui ieri è caduto l’anniversario, di un disastro ferroviario avvenuto in una galleria presso il paese di Balvano, in Basilicata, in cui un treno merci, ma stracarico di passeggeri (alcuni paganti), a causa delle sue locomotive a carbone ha causato la morte di più di seicento persone”. Da quel momento la “Storia tragica” del treno 8017 è diventata Memoria, e con essa si sono confrontati i bambini delle classi seconda e terza della scuola primaria ed oggi è uno dei temi trattati dai componenti del gruppo “Uommene&Tambure” nato nella struttura dell’ICATT di Eboli (Sa). Il tema è stato scelto perché, a suo modo, ha una consistenza ed una ripercussione sulla vita contemporanea di tutto rilievo. Le “morti annunciate” sono di grande attualità, al punto che le notizie di morte sul lavoro non “fanno più notizia” da tempo.

Secondo Turco, si tratta di un disastro “oscuro” perché non ne è stato dato il peso necessario ed “intricato” solo in apparenza. Se fossero state seguite delle semplici norme di sicurezza il “disastro” non sarebbe accaduto. Nello spettacolo, gli aspetti che vengono messi in rilievo sono: “lo stupore della gente comune davanti ai “fatti” ed alle “parole” che hanno (o non hanno) descritto questi fatti. Non a caso il primo intervento dell’attrice è in americano, lingua incomprensibile agli “abitanti del luogo” che hanno subito la tragedia. Poi, la facilità con cui le autorità del tempo (e tutte quelle avvicendatisi al potere fino ad oggi) hanno liquidato il caso. Ancora, la disperazione nel riconoscersi, per analogia di ceto sociale, condizioni di vita, mancanza di “cibo”, assenza di possibilità di riscatto, nelle vittime che hanno il solo, tragico, difetto, di essere nati “povera gente”.

Lo spettacolo teatrale, oltre ad avere il merito di ricordare al pubblico questa tragedia, è stato anche un momento di crescita per i “temporaneamente detenuti”, i quali provengono tutti dal mondo della tossicodipendenza “ed hanno così potuto sostituire il personaggio negativo dell’Io drogato che loro “rappresentano” nel mondo, con il personaggio positivo del Teatro a cui danno rabbia e dolcezza e amore. E questo li fa crescere, giorno per giorno”.

La scelta di far narrare la Memoria del Treno 8017 ai ragazzi dell’ICATT non è casuale: la maggior parte di loro proviene dai luoghi di origine delle seicento vittime della tragedia ed il loro status si avvicina molto a quello dei vinti dalla vita che compongono quella moltitudine brulicante che sembra non avere nessuna collocazione nella Storia e viene alla ribalta solo per tragedie, come quella del treno o per morti sul lavoro o disastri imputabili alla miseria cronica in cui sono costretti a vivere.

Infine, un altro importante custode della memoria, forse quello che maggiormente si impegna per far sì che la tragedia non si perda nuovamente nell’oblio, è Gennaro Francione, nipote di una delle vittime, che ha creato un sito internet “per ricordare tutti quei morti, vittime di un olocausto inutile, frutto della guerra e della vita cosiddetta civile che sopraffà i poveri[60]. L’obiettivo è di ricostruire i dati di ognuna delle vittime attraverso testimonianze, documenti e quant’altro per far sì che “ogni martire del treno di luce non abbia solo un nome e scarni identificativi, ma ridiventi persona, con la ricostruzione nella memoria cosciente collettiva di frammenti della sua vita”.

Il Sig. Francione ha tratto, da quanto accaduto, le sue conclusioni: “Sulla base dei dati raccolti il disastro fu determinato da un serie di concause, la più gran parte dei quali è ascrivibile all'errore umano. Il carbone di qualità scadente, gli eccessi (il peso) e i tentativi maldestri di assicurare, comunque, il viaggio del convoglio con la doppia locomotiva, unitamente alla mancanza di coordinamento tra i due macchinisti o tra i macchinisti e i frenatori (che non furono addestrati ad agire all'unisono in caso di emergenza), causarono il disastro. Conseguentemente lo Stato italiano e il Comando Alleato (per cui ordine partì il treno col carbone scadente) erano tenuti solidalmente a risarcire le vittime poco importando che sopra vi fossero abusivi. Il biglietto, infatti, si limita  a regolare un rapporto amministrativo; la mancanza del titolo di viaggio come visto è sanzionabile ma non elimina la responsabilità dell'ente gestore delle ferrovie. Questo avrebbe dovuto impedire, per motivi di sicurezza, che tutta quella gente salisse sul treno, alias si doveva fermare il treno. Facendolo marciare, comunque, l’ente andava incontro attraverso i suoi operatori, in concorso col Comando alleato, a responsabilità penali e civili connesse al disastro colposo (art. 449 codice penale con pena della reclusione da uno a cinque anni raddoppiata dal secondo comma trattandosi di disastro ferroviario)”.

Anche secondo il Sig. Francione lo stato italiano ha fatto poco o nulla per ricordare le vittime, “anzi ha cercato di dimenticarle” per nascondersi da palesi responsabilità. Ed ha continuato ad essere reticente nonostante la tragedia sia stata riportata alla memoria collettiva sin dal 2004, quando il padre del Sig. Francione, che nel disastro aveva perduto la madre (Giulietta Brancaccio, di 44 anni) era stato ospite a “La vita in diretta”, programma della Rai.

 

 

 

 

 

 

3.3 LA MEMORIA

 

 

Nessuna Spoon River dei poveri ha mai raccontato le loro storie.

(Antonio Manzo,  Il Mattino, 29 febbraio 2004)

 

Nel 1994, esattamente dopo 50 anni, Mario Restaino pubblica un’interessante ricostruzione dei fatti dell’8017 (Un treno, un’epoca:storia dell’8017, Arti Grafiche Vulture) che fornisce un quadro della vicenda abbastanza dettagliato, senza giungere alla conclusione del caso ma aprendo la strada a nuove ricerche.

Dopo altri 10 anni, nel 2004, tra le commemorazioni dei 60 anni di tutto ciò che era accaduto in quel lontano 1944, è sempre più forte la volontà di ricordare il disastro di Balvano. Se ne occupò anche la televisione, la ribalta nazionale portò l’evento nelle case di tutti, anche su internet era già consultabile tutto il materiale disponibile. I tempi sembravano maturi, il 10 marzo l’On. Giuseppe Molinari presentò alla Camera dei Deputati una proposta di legge per l’“istituzione del Giorno della memoria e del Museo della memoria in ricordo delle vittime della sciagura ferroviaria di Balvano del 3 marzo 1944”[61] ma finora lo Stato non ha mostrato il minimo interesse al riguardo, infatti alle tante richieste di offrire un cenno di ricordo le istituzioni nazionali (quelle locali invece hanno patrocinato le manifestazioni) è stata contrapposta una forte indifferenza, al punto da spingere Vincenzo Francione, che perse la madre nell’evento, ad istituire il 3 marzo la Giornata della Dimenticanza, in cui lo Stato si dimentica dei suoi figli.

L’opera di Barneschi ha aggiunto ulteriori particolari alla vicenda svelando nuovi atti redatti dagli alleati, proseguendo e completando il lavoro di Restaino; purtroppo egli ritiene che la documentazione italiana più rilevante è mancante o è stata distrutta con molta accuratezza. In qualunque fonte d’archivio là dove si sarebbe dovuto parlare del caso vi sono dei vuoti imbarazzanti, tutto è stato rimosso con minuziosa perizia[62]. Oggi la ricerca della verità, vanificata dal disinteresse istituzionale, non è più possibile, ma è possibile rendere omaggio alle vittime tramite il ricordo della loro morte che deve avere lo stesso peso di altre morti tanto compiante.


 

CONCLUSIONI

 

 

La vicenda del treno 8017 resterà, forse, uno dei tanti misteri italiani, una di quelle tragedie senza un perché la cui soluzione si trova all’interno di polverosi plichi che non vedranno più la luce.

Si tratta di un caso eclatante di omissione e di umiliazione della verità al solo scopo di salvare degli equilibri che, al tempo in cui si consumò la tragedia, erano sin troppo precari.

Sembra assodato che la causa della morte degli sventurati passeggeri del “treno maledetto” fu il carbone o, meglio, le venefiche esalazioni di un carbone di pessima qualità fornito dagli Alleati in sostituzione di quello, di buona qualità, che mai aveva provocato incidenti.

Il quadro della tragedia è tracciato seguendo le linee guida contenute nelle testimonianze – purtroppo esigue – di persone coinvolte a vario titolo, ma esse, seppur concordanti tra loro su diversi punti, discordano quasi completamente dalle versioni ufficiali, e ciò sembra alimentare ulteriormente il sospetto di un procedimento per “insabbiare” la vicenda. In particolare, la lucida testimonianza del Sig. Gentile mette in discussione tutta la questione relativa alle responsabilità che, in prima battuta, erano state addossate ai vari capistazione.

Infine, rilevante è il contributo che, a distanza di tanti anni, forniscono i giovani, che pur non avendo vissuto la tragedia in prima persona, l’hanno rivissuta nei racconti dei soccorritori e di chi, in qualche modo, ne fu coinvolto: proprio loro, infatti, attraverso l’attiva partecipazione alle cerimonie di commemorazione e tramandando il racconto dell’evento - nel totale silenzio e disinteresse da parte delle istituzioni - permettono di mantenere vivo il ricordo dei passeggeri che incontrarono la morte in una fredda notte invernale e che, se dimenticati, morirebbero ancora una volta.

Infine, l’idea del Sig. Francione, Consigliere della Corte di Cassazione, scrittore e artista, direttamente interessato dalla tragedia di Balvano perché nipote di una delle vittime, di istituire il 3 marzo come “Giornata della Memoria” potrebbe lenire il dolore di chi, ancora, si reca a rendere omaggio ai propri cari nella cappella del cimitero di Balvano in cui le spoglie delle vittime riposano. Il Sig. Francione sintetizza, in una sua bella frase, quello che è il sentimento comune tra i familiari delle vittime: «Spero che un giorno venga sollevato il velo su un fatto tanto grave. E forse alle famiglie delle vittime dopo tanto tempo basterebbe che le Ferrovie e il ministero della Difesa deponessero un mazzo di fiori. Basterebbe quello».


 

 

 

Appendice

Le testimonianze


 

 

 

 

 

Interviste ai familiari delle vittime

 

 


 

Intervista a Gennaro Francione, nipote di Giulietta Brancaccio, perita nel disastro 

 

D. Giudice Francione vuol ricordarci chi è lei e che influenza ha avuto in questa storia?

R. Sono Gennaro Francione, figlio di Vincenzo, nipote di Gennaro e Giulietta Brancaccio, la mia nonna perita nel tragico disastro. Molti elementi della conversazione con lei traggo dal mio sito http://www.antiarte.it/trenodiluce e dalla pagina di Facebook http://www.facebook.com/group.php?gid=106617610104&ref=ts#/group.php?gid=125209645401&ref=search&sid=1633929201.774805653..1. Scrivo in home page del sito TRENODILUCE: Oggi 3  marzo 2004, giorno del 60° anniversario della Tragedia di Balvano, nasce la Cyberassociazione "Treno di Luce 8017" con il compito di riunire i familiari ed amici delle circa 600 vittime del treno che si fermò nella Galleria delle Armi (poi rinominata Galleria della morte) nella notte tra il 2  e 3 marzo 1944, uccidendo i suoi occupanti con l'ossido di carbonio. Il Treno di Luce non è solo un convoglio materiale ma un mezzo celeste per ricordare tutti quei morti, vittime di un olocausto inutile, frutto della guerra e della vita cosiddetta civile che sopraffà i poveri. Per questo il Treno di Luce vuol  viaggiare sulle rotaie del Cyberspazio per portare il suo messaggio di pace contro la guerra e la sopraffazione dei deboli ad opera dei forti. Firmato: Gennaro Francione, nipote di Giulietta Brancaccio, 44 anni, perita nel tragico disastro.

D. Il sito Trenodiluce ha, dunque, un valore simbolico?

R. Certamente è un inno alla pace. Ma è anche un archivio di documenti, testimonianze, opere etc. In particolare mi è servito per fare della microstoria. Ad es. il giornalista di Potenza Mario Restaino, nel suo libro Un treno, un'epoca: storia dell'8017 (Melfi, Arti grafiche Vultur, 1994), ha compilato un elenco delle vittime identificate sulla base degli atti ufficiali. Ciò ha costituito una tavola d’inizio della ricostruzione sempre più precisa da me effettuata grazie a mail di parenti delle vittime, testimoni etc. che mi scrivevano e correggevano, precisavano, mandavo foto etc. Il progetto (ancora in corso) è di ricostruire i dati di ognuno dei deceduti attraverso testimonianze, documenti etc. per far sì che ogni martire del treno di luce non abbia solo un nome e scarni identificativi, ma ridiventi persona, con la ricostruzione nella memoria cosciente collettiva di frammenti della sua vita.

D. Quali sono le cause e le eventuali responsabilità umane che hanno provocato la tragedia del treno 8017?

R. Riporto dal sito TRENODILUCE: CONCLUSIONI ATTUALI: CONCAUSE DELLA TRAGEDIA. Sulla base dei dati raccolti il disastro fu determinato da un serie di concause, la più gran parte dei quali è ascrivibile all'errore umano. Il carbone di qualità scadente, gli eccessi (il peso) e i tentativi maldestri di assicurare, comunque, il viaggio del convoglio con la doppia locomotiva, unitamente alla mancanza di coordinamento tra i due macchinisti o tra i macchinisti e i frenatori (che non furono addestrati ad agire all'unisono in caso di emergenza), causarono il disastro. Conseguentemente lo Stato italiano e il Comando Alleato (per cui ordine partì il treno col carbone scadente) erano tenuti solidalmente a risarcire le vittime poco importando che sopra vi fossero abusivi. Il biglietto, infatti, si limita a regolare un rapporto amministrativo; la mancanza del titolo di viaggio come visto è sanzionabile ma non elimina la responsabilità dell'ente gestore delle ferrovie. Questo avrebbe dovuto impedire, per motivi di sicurezza, che tutta quella gente salisse sul treno, alias si doveva fermare il treno. Facendolo marciare, comunque, l’ente andava incontro attraverso i suoi operatori, in concorso col Comando alleato, a responsabilità penali e civili connesse al disastro colposo (art. 449 codice penale con pena della reclusione da uno a cinque anni raddoppiata dal secondo comma trattandosi di disastro ferroviario).

D. Dal 3 marzo 1944 ad oggi,cosa è stato fatto dallo Stato Italiano per individuare queste cause, e per ricordare le sfortunate vittime di questa tragedia?

R. Lo stato italiano ha fatto poco o nulla per ricordare le vittime anzi ha cercato di dimenticarle. Più volte mio padre mi chiedeva –forse parlando più che al figlio  al giudice per chiedere giustizia – come si potesse far tornare alla memoria generale i poveri 600 morti dimenticati. Nel 2004 sono riuscito a portarlo alla Vita in diretta e là, dopo la sua toccante testimonianza,  si è creato un movimento di rievocazione culminato soprattutto nel libro di Gianluca Barneschi “Balvano 1944. I segreti di un disastro ferroviario ignoratoe nella ricerca scientifica del prof. Vincenzo Esposito, antropologo dell’Università di Salerno, culminata nei due convegni del 2006 e 2011. Riporto dal sito il comunicato della trasmissione di Cocuzza del 3/2004, h 17.15: COMUNICATO STAMPA - Il giorno mercoledì 24 marzo alle ore 15,30, per la rubrica "Un giorno speciale" condotta su RAI Uno da Michele Cocuzza, il giudice drammaturgo Gennaro Francione ricorderà col padre e con alcuni testimoni, tra cui un  superstite il più grave disastro su rotaie della storia europea, dimenticato dalla cattiva coscienza collettiva, preso a emblema di un urlo dei diseredati contro ogni guerra e contro la sopraffazione dei poveri ad opera dei forti. L'evento, nel sessantennale dal suo verificarsi, è stato finalmente rievocato dalla grande stampa nazionale con articoli apparsi su "Il Corriere della Sera", "Famiglia Cristiana", "Il Mattino".

D. Perché secondo lei c'è sempre stata la volontà dello stato Italiano di insabbiare e nascondere questa gravissima tragedia?

R. Per nascondere palesi responsabilità. La cosa grave è stata il protrarsi della reticenza sui fatti malgrado gli stessi siano stati dal 2004 riportati alla memoria collettiva. In conseguenza della reiezione della petizione proposta dai familiari delle vittime (circa 500 firme raccolte) di istituire un giorno della memoria da parte della presidenza della Repubblica e di altre istituzioni, il Gruppo dal basso proclamava provocatoriamente il 3 marzo di ogni anno Giorno della Dimenticanza (in contrasto con i gloriosi Giorni della Memoria), quello in cui le istituzioni si dimenticano dei propri morti. In un paese ancora a caccia di democrazia reale ci sono ancora distinzioni, in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, tra cittadini di serie a e di serie b, vivi o morti che siano.

D. Oggi dopo 67 anni, cosa si potrebbe fare secondo lei per ricordare e non dimenticare la tragedia?

R. Intanto istituire il giorno della Memoria anche per i poveri morti della Galleria delle Armi. In attesa andiamo avanti con la nostra massiccia controinformazione via web, università, arte, teatro.

D. Ha visto la rappresentazione teatrale sulla vicenda del treno 8017 realizzata dai detenuti del carcere di Eboli? Cosa ne pensa?

R. Molto toccante. Il fatto che detenuti si facciano messaggeri di verità per i nostri morti è davvero edificante nella comune ricerca di riscatto dei devianti vivi e dei poveri defunti dimenticati. Il teatro è una via per trasformare i 600 dimenticati di Balvano paradossalmente in eroi mitici. Vari libri, opere teatrali etc. sono stati scritti, rappresentati per ricordare il Treno 8017. Io stesso ho ricordato la tragedia nel racconto Il verro di Baragiano (ha vinto il 1° premio della sezione Narrativa del concorso letterario Il Telescopio). Il racconto è tratto dal mio romanzo Calabuscia dove narro la fuga dopo l'armistizio lungo tutto la penisola di due napoletani, padre e figlio, alla ricerca di una salvezza che si rivela una mera chimera. La vita è un'eterna Calabuscia, una gabbia. Dopo che miracolosamente un'intera famiglia è uscita intatta dalla guerra, nel sud liberato accade la tragedia che uccide nonna Giulia (Aetas Internazionale - Roma, ottobre 1994). Il racconto è stato utilizzato con pezzi di altri autori (Salvatore Argenziano, Gianluca Barneschi, Dino Becagli, Andrea Di Consoli, Giuseppe Lupo, Pasquale Pace, Mario Restaino, Mimmo Sammartino, Mario Santoro, Mario Trufelli) dal regista Dino Becagli nella splendida messinscena di DAL TRENO DELL’OBLIO - Balvano 3 Marzo 1944 (Potenza, 2010, 2001).

D. La sua famiglia ha mai ricevuto un risarcimento dallo Stato?

R. Sembra di sì. Dico “sembra“ perché la somma corrisposta non fu mai versata ai miei familiari dall’avvocato. Perché no? Non me lo chieda. Misteri di Napoli, come a dire no comment.

D. Oltre a queste domande, vuole aggiungere altro?

R. Da giudice emetto la mia sentenza. La giustizia da noi invocata dallo Stato Italiano non è stata resa. Bastava così poco… Nel tempo, lotteremo per conseguirla, immancabile, per noi, per i nostri poveri morti, per il mondo, urlando la nostra rabbia contro i costruttori di macchine e ordigni da guerra, unendoci sul Treno della Luce 8017 per lanciarglielo contro come un uragano di pace e disarmarli per sempre.


 

Intervista a Pietro Rossini, figlio di Giorgio Rossini, perito nel disastro. All’intervista sono presenti anche il genero del Sig. Pietro, Roberto, e la figlia, Carmela, che in alcuni punti prendono la parola.

 

P. Noi ci morivamo di fame, non c’era niente e mio padre è partito, e quella è la fine che ha fatto. Mio padre si chiamava Giorgio Rossini e aveva 47 anni. Lui portava un cappotto militare, che forse era il suo e aveva fatto la guerra del 1915-18, per cambiare con la merce dei contadini, per barattare e sfamare la famiglia. Mia madre gli disse: Giorgio, non te lo portare proprio questo cappotto, perché i ragazzi sono tre, poi crescono e quindi può servire sto cappotto. Ma lui lo mise nella valigia e se lo portò. E poi portava una borraccia di una signora di Brignano(Sa), che gli disse visto che vai portami due litri d’olio. E dopo che lui è morto questa signora è venuta da mia madre e ha preteso, ha voluto la borraccia…pensa un po’ che gente.

D. E quindi quali sono le cause e le eventuali responsabilità umane che hanno provocato la tragedia del treno 8017?

P. Gli errori umani sono quelli dei ferrovieri, poi degli alleati che hanno messo le due macchine che non ce la potevano fare. I ferrovieri perché hanno messo due macchine in testa al treno, e queste due macchine non si guardavano tra di loro perché una delle due era austriaca ed aveva il posto di guida all’altro lato, e l’unico segnale per comunicare tra di loro era il fischio del treno, ma sotto a quel fumo nemmeno il fischio del treno si sentiva più…e allora è successa la tragedia, perché se ci fosse stata una macchina avanti e una indietro al treno, il gas dei carboni era a metà, scaricava dietro, per esempio è come a un bicchiere d’acqua che se ne bevi mezzo è una cosa e se lo bevi intero è un’altra cosa. E quindi l’errore  l’hanno fatto i ferrovieri a Battipaglia, perché quella macchina austriaca era molto potente per l’alta montagna, però non era per il traino ma era per la spinta e quindi dovevano metterla dietro al treno. Poi la rigidità atmosferica, io mi ricordo bene che quella mattina faceva molto freddo. Mio padre non tornò a casa e dopo tre o quattro giorni arrivò la notizia dei carabinieri o di qualcuno, adesso non ricordo bene, che i documenti sono stati portati in Sicilia, perché lui era siciliano e teneva ancora la residenza in Sicilia. E poi, la causa principale è il carbone che era jugoslavo e non italiano. Quello che tenevamo noi, da dove lo portavamo noi, era il migliore e se lo sono presi gli alleati per far fronte alla guerra, a Cassino. Poi per quanto riguarda il fatto dei ferrovieri, io sono andato anche dal presidente dei ferrovieri ma non sono riuscito a niente, perché non si prendono le colpe. Poi ho parlato con l’onorevole Tino Iannuzzi, un mio amico, per vedere di fare un po’ di memoria per mio padre e per tutta sta povera gente. Andai là e mi disse che non si poteva fare niente perché ci vuole una legge, e per fare una legge di questa e con questi tempi che corrono…

D. Dal 3 marzo 1944 ad oggi, cosa è stato fatto dallo stato italiano per individuarne le cause, e per ricordare e non dimenticare le vittime di questa sciagura?

P. Non hanno fatto niente, perfettamente niente. Sono stati cancellati perché in quei tempi, nel 1943 venne l’armistizio il 9 settembre, e poi nel 1944 è stato fatto il governo Badoglio a Salerno, per dividersi dal regime di Mussolini. E il governo Badoglio appena iniziato questo, non si poteva assumere una responsabilità simile, e allora hanno cancellato tutto. Gli alleati volevano bruciare i morti, e gli americani hanno tolto proprio dagli archivi queste cose.

R. (genero di Pietro): Anche perché erano loro i responsabili, e hanno pensato che tanto è una tragedia nella grande tragedia della guerra e hanno preferito occultare il tutto.

P. Io non ho mai pensato a queste cose perché nessuno ne parlava,nessuno diceva niente, solo quando nel 1978 è uscito un articolo su famiglia cristiana della tragedia di Balvano. Ho preso questo giornale, e dissi all’avvocato: avvocato vedete che ci sta qua sopra. E lui disse: ah… mò facciamo soldi. Passarono una quindicina di giorni e dissi: avvocato ma del fatto di mio padre non avete detto niente più. E lui disse: No, ma quello è andato tutto in prescrizione.

R. Gli americani hanno voluto subito insabbiare la tragedia perché in caso di risarcimenti ai familiari delle vittime, ma sai l’America quanti soldi avrebbe dovuto dare come risarcimenti alle famiglie, perché le responsabilità erano le loro che gestivano la linea e perché hanno imposto quel carbone che non era buono e non andava utilizzato. Poi ci sono stati una serie di eventi che hanno scatenato la tragedia: le due locomotive messe davanti, il carbone che non era buono, il peso del treno, i binari che erano scivolosi a causa del ghiaccio perché era una delle notti più fredde di quell’anno.

P. Si, il freddo era il più rigido che ancora non è venuto quello qua, quel freddo. Io mi ricordo che l’aria era ferma, gelata, nevicava e non si respirava. E questo fa si che l’umidità non fa salire il fumo.

R. Perciò il fatto che volevano bruciare i corpi dei cadaveri per evitare un’epidemia era una balla colossale, perché col freddo che faceva… ma quale epidemia?... Non sarebbe scoppiata nessuna epidemia! Invece era proprio per cancellare le prove, perché sapevano che se qualcuno avesse iniziato a fare ricorso, gli americani avrebbero dovuto sborsare un sacco di soldi.

D. Infatti alcuni familiari hanno intentato causa.

R. Si ma dopo, molto dopo.

P. No pure subito. Infatti c’era una persona, una famiglia che abitavano vicino a noi, che mi diceva sempre: belli guagliù, non vi fate rubare soldi, perché io ho perso tre cause con la cassazione di Roma. Queste parole me le diceva ogni volta che andavo da lui e io me le inchiodai in testa. Mia madre non se n’è potuta mai interessare perché non c’erano né le possibilità e né niente. Mentre una donna di Brignano, che il marito è morto insieme a mio padre, lavorava e diceva che voleva cercare di vincere la causa. E così mise quest’avvocato, che invece le aveva rubato solo soldi.

D. Quindi nessuno ha avuto risarcimenti?

P. No… poi in un pezzetto di un articolo ho letto che uno ha avuto 200.000 lire, quelli di Resina, che erano molti di là, da qua erano pochi…

R. Poi un altro motivo per cui non hanno fatto subito causa, è perché all’epoca i soldi per pagare l’avvocato non ce li aveva nessuno.

P. Si, forse solo questo signore che ha fatto le cause e le ha perse. Comunque lui aveva il figlio che in quel treno andava a prendere servizio a Potenza come dottore, io me lo ricordo, e il padre ha sentito un sacco di dolore.

R. E questo ha segnato non solo i familiari, ma anche i non familiari

P. Si, per esempio il fatto dell’amico di mio padre… lui faceva il calzolaio, e ci rimase molto male perché gli mise la suola alle scarpe poco prima del suo viaggio. E lui diceva sempre: se non gli avessi aggiustato quelle scarpe, forse Giorgio non sarebbe partito per quel viaggio…la colpa è la mia perché l’ho fatto andare, perché lui con le scarpe scassate no sarebbe partito, perché poi lui era uno preciso. Poi una signora di Brignano mi regalò un libro di Restaino in cui c’è l’elenco delle vittime, e da questo elenco ho fatto migliaia di telefonate. Ora che cosa sto facendo, siccome che a Brigano non si può fare niente per la memoria, allora davanti alla chiesa hanno messo un ceppo per un ragazzo che è morto sul motorino, e allora ho detto alle autorità che erano presenti quel giorno se si può fare questa cosa pure per mio padre e per tutta sta tragedia. Loro hanno detto che si può fare, però bisogna far presto perché adesso ci sono le elezioni, loro sono di sinistra, e così facciamo vedere al popolo che si fa anche sta cosa. Vado dal parroco e mi ha detto che siccome deve far fare un quadro della madonna di Pompei da mettere in un posto vicino alla chiesa, e se a me fa piacere si può mettere una targa sotto a questo quadro, in ricordo della tragedia e di mio padre. E per me è stata una contentezza grande, io penso che muoio dalla contentezza quando facciamo sta cosa qua, però la targa la voglio fare a spese mie, altrimenti è come se non avessi fatto niente. Il prete mi ha detto che si farà il 28 agosto.

R. Noi abbiamo pensato una cosa… visto che in questa manifestazione di Ogliara, al museo di Ogliara, è stato presentato un quadro sulla tragedia che è stato fatto da una pittrice, di cui non ricordo il nome. E allora abbiamo pensato di fare delle riproduzioni di questo quadro e di metterle esposte in tutte le stazioni da Napoli a Balvano, cioè il percorso che fece il treno 8017. Magari, almeno così i passeggeri che aspettano il treno, vedono questo quadro con magari scritto qualche cosa sotto, come: In memoria della tragedia avvenuta a Balvano, sotto la Galleria delle Armi,il 3 marzo 1944, dove morirono ecc… sarebbe una bella cosa, anche perché non è nemmeno costosa, quindi è fattibile.

P. Il parroco mi disse che ci stava ad Eboli la rappresentazione teatrale dei detenuti, che ho conosciuto pure…

D. E le è piaciuta la rappresentazione?

P. Io piangevo solo qua… la verità, questi ragazzi sono stati fantastici.

R. Vedi Antonio, qua ci stanno tutti i numeri di tutti i familiari delle vittime del treno 8017. Vedi, per esempio Carpentieri Antonio è celibe ed è deceduto  il 3 marzo 1944 nella Galleria di Balvano, e poi tutti questi nominativi che seguono sono tutti i familiari diretti di Carpentieri. Abbiamo cercato tutti i familiari.

D. Quindi avete avuto contatti diretti con gli altri familiari?

R. No, proprio diretti no. Abbiamo solo i nominativi perché poi chi è morto, chi è emigrato, chi se n’è andato, però vorremo cercare di rintracciare almeno quelli che stanno a Cava, ma non ci siamo riusciti ancora. Siamo riusciti a contattare solo una signora molto anziana, ma sta a Sondrio… Poi per questa cosa dei quadri, io metterei anche qualche statua, o un monumento nelle principali stazioni, cioè Napoli, Salerno, Battipaglia e Balvano. Poi si potrebbe organizzare pure  un treno che parte da Napoli e va fino a Balvano,e che si ferma nelle stazioni per posare i quadri, magari con i familiari e qualcuno che può venire, in modo da ricordare questa tragedia. Magari organizzare il tutto tra Regioni, Comuni di Napoli, di Salerno, di Battipaglia e di Balvano, le province e ovviamente le ferrovie. Comunque Gennaro Francione ha fatto un bel sito internet in cui ha proposto di istituire il 3 marzo come giorno della dimenticanza, perché il padre aveva inviato molte lettere ai vari Presidenti della Repubblica, anche a Ciampi, per far istituire il 3 marzo come giorno della memoria. E forse, forse adesso sarebbe il momento propizio perché abbiamo il Presidente Napolitano che è di Napoli. Adesso dovremmo approfittare di questo, perché è una tragedia che ha toccato la Campania ,la Basilicata, ma soprattutto Napoli e i comuni limitrofi, cioè da dove proveniva la maggior parte delle vittime.

P. Perché Ciampi non ha fatto niente quando era presidente della Repubblica, e quando Francione glielo ha detto inviandogli delle lettere? Perché? Perché Ciampi era un partigiano anche lui, come Pertini, Napolitano; sono persone che vengono dal quel posto là, e allora non si possono nemmeno tradire.

R. Scusa, ma che attinenza c’è con il fatto di essere partigiani?

P. Perché loro hanno perseguitato i fascisti, come il fatto delle fosse foibe, quelli sono i partigiani che hanno bloccato la cosa e quelli hanno fatto i fetenti a buttarli là dentro.

R. Ah si, ma sono stati sempre i tedeschi a pigliare, cioè per ogni tedesco morto prendevano dieci italiani , però la povera gente che c’entrava, i civili; dovevano combattere i partigiani ma non prendersela con la povera gente… Comunque, tutta quella povera gente morta sul treno 8017 non erano né contrabbandieri, né ladri, né trafficanti di chissà che cosa o di armi… Erano soltanto persone che cercavano di portare un po’ di pane a casa, alle proprie famiglie, perché c’era la miseria più nera, totale dovuta alla guerra che ormai era iniziata da quattro anni. E la guerra oltre a portare distruzione, ha portato anche e soprattutto miseria, perché: non funzionano più le fabbriche, non si coltiva più, gli uomini partono per il fronte e non c’è più manodopera, non c’è più niente in questi contesti… E alla fine chi produce? Nessuno, ognuno si arrangia in questo modo, portando quelle poche cose che aveva per barattare con un po’ di cibo.

P. Antonio, una mattina un mio amico mi disse: Don Pietro avete sentito il telegiornale ieri sera, parlava delle fosse foibe. E io dissi: Gaetano, tu tieni a capa fresca… e di mio padre non se ne parla mai? E lui: perché che cosa è successo a vostro padre?  E poi io gli spiegai quello che era successo, e lui dopo mi accompagnò a Balvano.

R. Un aspetto importante è riuscire ad imparare dagli errori del passato, per fare in modo che non si ripetano tragedie come questa, dovuta soprattutto all’errore umano, a parte le cause esterne. Quindi mettere la sicurezza al primo posto, la sicurezza dell’uomo, dell’individuo, e mai dimenticare quest’aspetto perché bisogna capire che le tragedie possono succedere. Come anche ultimamente con ciò che è successo in Giappone con le centrali nucleari…cioè mai essere sicuri di un qualcosa, perché non è sicuro niente… e le cose possono avvenire per una semplice incuria o leggerezza, magari dovuta alla troppa sicurezza dell’uomo. Per esempio anche quando guidiamo la macchina, noi ci sentiamo talmente sicuri ed è proprio in quel momento là che ti frega, quella troppa sicurezza, e allora succedono incidenti e disgrazie per banalità. Quindi mai sottovalutare la sicurezza e mai essere padroni di sé, ma cercare sempre di essere quanto più possibile prudenti in tutto. Perché la tragedia del treno 8017 si poteva e si doveva evitare, perché non è stato valutato a priori il fatto che quel treno non poteva viaggiare in quelle condizioni, perché già era pesante di suo, più poi tutte quelle persone sopra, le due locomotive avanti che sprigionavano vapore… ed è normale che in una galleria di quel genere, e in salita, alla fine il treno non ce l’ha fatta a proseguire ed è rimasto bloccato. Il tanto fumo che usciva, troppo, perché erano due locomotive a vapore, ma soprattutto il carbone che era molto scadente, il tanto freddo… Quindi quel treno non doveva partire da dove è partito. E quindi la troppa sicurezza dell’uomo molte volte genera queste cose, queste tragedie…

D. Infatti, a conferma di ciò che mi sta dicendo, nel mese di febbraio del 1944 avvenne un precedente molto simile alla tragedia dell’8017, in cui sempre a causa del fumo morì Vincenzo Abate, cioè il macchinista di un altro treno.

R. Si, si hai ragione, c’era stato anche questo precedente. Questa tragedia esula dalla guerra, perché non ha subito un bombardamento o altro, e se pure l’avesse subito non sarebbero morte tutte quelle persone. E poi questa tragedia poteva succedere anche subito dopo la fine della guerra, perché la miseria è continuata ad esserci fino a quando gli americani non sono riusciti a portare gli aiuti. Dunque poteva succedere anche alcuni mesi dopo la fine della guerra, e magari si sarebbe ricordata di più perché la guerra era già finita… purtroppo è stata una tragedia non bellica, ma accaduta nel periodo della guerra e quindi ecco perché è rimasta così, ed ha trovato poco spazio.

C. (figlia di Pietro): Comunque mia nonna è rimasta vedova, con cinque figli, ed era sola in quei tempi in cui c’era la miseria totale, poi il fatto che non è stato riconosciuto niente per queste famiglie delle vittime, che sono state…pensa che mia nonna aveva solo il marito che è morto, e dunque la miseria è cresciuta ancora di più. E il fatto che non è stato riconosciuto niente, ma pure a dire: oh, in quella famiglia sono rimasti senza capofamiglia. Io penso a mia nonna che aveva cinque figli, quel signore di Torre del Greco erano nove o dieci figli, cioè sono state lasciate intere famiglie allo sbando. E quindi il fatto che nessuno se n’è interessato in quei tempi, ma umanamente parlando… e invece si doveva fare qualcosa per tutta questa povera gente, pure un piccolo sostegno.

P. Si, si ma pure una semplice pagnotta di pane, o qualche cosa da mangiare

 

 


 

Intervista a Giuseppe Montuori, che ha perduto la madre e la sorella nel disastro. L’intervista risulta breve perché l’emozione ha impedito al Sig. Montuori di continuare.

 

D. Cosa sa dirmi di quello che è successo ai passeggeri del treno 8017?

R. Allora… la notte del 3 marzo sono morte 521 persone nella Galleria di Balvano. Le persone si sono addormentate e non si sono svegliate più, a causa del fumo velenoso che quel carbone sprigionava. La maggior parte delle persone si spostavano in cerca di cibo, perché all’epoca c’era la guerra e la povertà…e così salirono sul treno anche mia madre e mia sorella. Comunque io ho letto l’articolo di Famiglia Cristiana, che tengo conservato in un cassetto e che dopo ti faccio vedere, dove c’è la testimonianza del medico di Balvano. Il medico, che era sceso dal paese alla stazione di Balvano, aveva soccorso e salvato la vita a molte persone, ma poi arrivarono gli americani e fecero allontanare tutti, anche a lui che stava per salvare altre vite umane. Poi i cadaveri furono trasferiti, trasportati con i camion, al cimitero del paese di Balvano, ma il cimitero era troppo piccolo per poter ospitare tutti i cadaveri e allora furono seppelliti nelle fosse comuni. Poi, dopo molti anni, il signor Avventurato Salvatore ha fatto costruire una cappella  nel cimitero di Balvano, dove oggi riposano tutti i morti di quella notte…e se Avventurato non avesse fatto costruire questa cappella, oggi i morti sarebbero ancora sepolti nelle fosse comuni, sotto terra. 

 


 

 

 

 

 

Intervista al capostazione della stazione di Baragiano, Ugo Gentile, in servizio la notte del disastro.

 

 

 

 


 

All’intervista è presente anche il Sig. Pietro Rossini, figlio di Giorgio Rossini, perito nella tragedia.

 

D. Cosa sa dirmi di quello che è successo ai passeggeri del treno 8017?

R. Io stavo a Baragiano, alla stazione di Baragiano, ed ero capostazione. All’epoca esisteva solo il telegrafo per comunicare tra le varie stazioni… allora cosa è successo… questo treno 8013 veniva da Napoli ed era una condotta vuoti, cioè una tradotta di carri vuoti, 44 carri L (carri vuoti); il treno veniva scortato da un documento che si chiamava foglio veicoli; arrivato a Battipaglia  questo treno 8013 è stato battezzato 8017. Un’altra cosa che hanno detto, anche Raimo, che a Battipaglia c’era la dirigenza centrale… ma non è vero, perché Battipaglia era dirigenza locale, cioè c’erano 2 capistazione, più il telegrafista e il manovratore. Quando è arrivato questo treno, loro non hanno fatto altro che aggiungere 3 carri: 2 per Persano e 1 per Sicignano. I 44 carri provenienti da Napoli, erano ufficialmente vuoti e la composizione che hanno dato era di 300 e rotte tonnellate. Battipaglia avrebbe dovuto mandare una locomotiva 480016 a Potenza, e siccome c’era un solo binario mandando la singola locomotiva 480016 era come se fosse un treno che comunque doveva fare gli incroci ecc… allora hanno pensato di mettere in doppia trazione la 480016 alla locomotiva titolare 476038 da Napoli, sulla quale c’erano 2 macchinisti: Barbaro Rosario e Gigliano Matteo; mentre sulla 480016 c’erano Santoro (di Cava) e Ronga (di Salerno) che è un aiuto macchinista. In questo caso si chiamava doppia trazione perché erano 2 locomotive che andavano in testa e trainavano questo treno; qualcuno ancora dice, ho letto di spinta… No, perché spinta è se  tu stai indietro. Stando alla composizione che a me successivamente ha dato Battipaglia,  queste due locomotive andavano bene per andare a Potenza in quanto da Baragiano a Tito c’era una salita del 25 per 1000, di un tratto acclive. A Baragiano io tenevo tre locomotive 476, di gruppo 476, proprio da utilizzare per la spinta e in quel caso vanno in coda perché devono spingere. Per giunta erano locomotive di spinta che erano bottino di guerra del 1915-18, ed erano austriache. Mentre la 480 era stata costruita il 1922, era un bestione di 22 metri, lunghissimo. E siamo arrivati a questo punto qua… fatta la manovra ad Eboli e a Persano, il treno ufficialmente era di 44 carri vuoti; in quel periodo tutti i treni venivano scortati dai militari americani, della RTA. Tra Balvano e Bella-Muro c’è la Galleria delle Armi, e poiché il carbone non era buono, in quanto  non era carbon-fossile  ma era lignite, ed era un carbone che portavano gli americani e che conteneva molto ossido di carbonio e quindi non bruciava bene. Quel carbone era come ‘O TIZZON’che fa solo fumo, e quindi loro per poter aumentare la pressione e far si che acquistasse velocità e forza nel traino, si fermavano prima di entrare nella galleria e stavano un ora e anche due ore  per fare accudienza. Io stavo a Baragiano, a  Bella-Muro ci stava Del Gaudio Baldassarre, a Balvano Salonia Giuseppe e a Romagnano Gaglaiardi Luigi, i quali erano tutti capostazione. La cosa importante.. quando sono passate due, tre ore il capostazione di Bella-Muro si è iniziato a preoccupare perché non vedeva il treno, e per regolamento che tenevamo noi di circolazione treni, quando c’era una difficoltà era il capotreno ad inviare qualcuno alla stazione precedente o successiva per avvisare che c’era un’anomalia. E quindi il capostazione di Bella-Muro aspettava che arrivasse qualcuno a dire se fosse successo qualcosa. Dunque sono passate le tre ore ed erano le quattro e qualcosa. In questo contempo, e questo è importante, io a Baragiano avevo un treno 8000 sul quale c’erano le truppe americane che dovevano raggiungere Cassino, perché c’era ancora la guerra a Cassino, quindi il comandante del treno 8000 naturalmente sollecitava per partire. Però cosa è successo, che questo treno (si riferisce all’8017) era la bellezza di 94 assi, cioè ruote,  ma alla stazione precedente di Bella-Muro e a quella di Balvano non c’era la capienza dei binari, e quindi l’incrocio lo doveva fare per forza a Baragiano, e quindi io aspettavo che arrivasse questo treno 8017 per far partire il treno 8000. Se non che verso le quattro, le quattro e mezza visto che non arrivava poi gli americani fecero arrivare dei camion da Potenza e portarono i soldati con i camion. Tenete presente che era il 3 marzo, ci stava la neve ed era buio. Quando poi verso le quattro, le quattro e mezza visto che il treno 8017 non raggiungeva la stazione di Bella-Muro, allora il capostazione di  Bella-Muro ha chiamato il guardalinee, cioè uno perlustrava la linea, un certo Rocco Cocine se la memoria non mi tradisce. In un primo momento ci fu una titubanza, perché dice io sono solo dove vado, perché doveva camminare sulla scarpata, ma comunque fu convinto, lo invitò con modulo particolare che si chiamava modulo 40, e questo qui andò e arrivò quasi dopo un’ora di cammino sulla galleria, a piedi con la difficoltà di camminare. Arrivato là trovò che dalla galleria usciva una grossa quantità di fumo puzzolente, maleodorante, nero… e che vuoi entrare! Contemporaneamente a tutte queste operazioni, il frenatore di coda del treno 8017, il quale usciva un poco dalla Galleria delle Armi, andò alla stazione di Balvano a dire che nella Galleria ci sta il treno fermo e ci sono anche dei morti. Il capostazione di Balvano mi comunicò che il treno sta sotto la galleria e che però ci sono anche dei morti. Noi pensavamo 10, 15, 20, 30, 40, 50… Tutto questo è stato causato, e forse mi è sfuggito e non ve l’ho detto prima, dal fatto che il treno 8017 era composto da carri L , cioè carri vuoti, e quindi tutta la gente è salita là sopra perché in quel periodo noi tenevamo solo due treni, treni contingentati, cioè di viaggiatori, che erano bisettimanali, però si faceva la prenotazione e se tu facevi la corruzione avevi e facevi…e poi ci voleva un permesso per viaggiare… E quindi fatto questo affare qui, lui (il guardalinee) è andato ed è ritornato. Nel frattempo a Balvano è arrivato un treno, l’8025, e loro hanno preso la locomotiva e l’hanno mandata in coda a questo treno 8017.

D. Questo per verificare cosa fosse accaduto?

R. No, perché già avevano accertato, perché il frenatore di coda Palo già aveva detto che era successo quello che era successo. Comunque là non è che ci fu una deficienza, perché il frenatore di coda stando sempre al nostro regolamento non poteva lasciare la coda, ma la doveva proteggere quando il treno si fermava… quindi anche lui purtroppo, dopo questo periodo, a lui arrivava il fumo ma non gli dava fastidio,cioè non è morto… allora quando poi Palo è andato a Balvano, loro hanno mandato questo treno 8025. Quando poi questo guardalinee è arrivato a Bella-Muro, disse: là non si può entrare perché c’è il fumo. Allora io mi peritai di chiedere a Potenza delle maschere antigas, perché io avevo 19 anni ed ero novello di scuola, e pensai forse si sarà formato il grisù, il gas e come facciamo ad entrare… Infatti cercai di avvisare Bella-Muro di non far entrare con la lanterna ad olio, dato che prima non c’erano le pile, perché entrando con la fiammella può scoppiare col grisù; erano problemi che noi ci creavamo, io ero il più giovane ed avevo due anni di servizio, questo che stava a Balvano aveva sui 55 anni, quest’altro 40. E allora vista tutta questa difficoltà, chiedemmo a Potenza e dissero che non potevano mandare le maschere antigas. Allora verso le ore otto siamo partiti noi con una locomotiva, la 476 che tenevamo là di spinta, con a bordo io, un capostazione bagaglio che si chiamava Giovanni, Mario Nocera, il macchinista Giacomino Battagliese e l’altro è Barbaro Rosario, forse.E siamo partiti e siamo arrivati sotto la Galleria…poi che cosa è successo…loro hanno tirato il treno da dietro. Sotto la galleria, in un pozzetto d’acqua trovammo questo aiuto macchinista, Ronca, che stava col viso nell’acqua, lo prendemmo io e Mario Nocera e ci facemmo la famosa “seggiulella” (una specie di barella umana) e lo mettemmo sopra. Lui tremava perché faceva freddo, io gli diedi il mio cappotto e lo accompagnammo alla stazione di Balvano, cioè quasi 3 km a piedi, facemmo un buon sacrificio a portarlo fino a là. Se non che lungo il percorso, mentre il treno retrocedeva, c’erano sopra 16 cadaveri maciullati perché evidentemente essendo stati storditi dal fumo sono caduti sui binari, e quando quelli da là hanno tirato il treno nessuno conosceva la situazione e quindi questi corpi sono stati maciullati, che poi non ricordo se furono conteggiati perché là erano 626, e poi questo non metto mai carne a cuocere perché una volta ho avuto una polemica con un giornalista del nord e poi mi sono scocciato dico ma voi volete solo vendere  giornali e libri. E allora trovammo questa gente maciullata che nessuno sapeva e quindi furono recuperati dopo, in un secondo momento perché poi intervennero da Potenza. Quando siamo arrivati alla stazione il treno 8017 stava lungo la stazione, e su tutti questi carri c’erano queste persone, chi stava cosi, chi appoggiato etc. Noi eravamo in sette e pensammo di individuare chi dava segni di vita perché non potevamo assistere tutta quella massa; allora chi dava segni di vita si prendeva, si scaricava dal treno e si faceva la respirazione, e pure ne salvammo 96, che naturalmente poi se ne andarono, non risultavano nemmeno registrati perché molti di loro erano abusivi sul treno ma non erano contrabbandieri, stavano sul treno perché sul treno non c’era la scorta, perché ogni treno aveva la scorta militare che controllava, perché poi si rubava allora ed era tutta una situazione di arrangiamento. Quando poi abbiamo fatto, e abbiamo collocato… non c’era spago, non c’era cartoncino… abbiamo cercato di individuare e ci mettevamo il nome, il cognome e che cosa contenevano. Premesso che ciascuno di loro teneva soldi, scarpe, vestiti, ma tutta roba cosi, non di lusso. Tanto è vero che si dice che la piccola velocità della stazione di Balvano, cioè il deposito merci dove venne depositata tutta questa roba qua, fu saccheggiata proprio dal maresciallo dei carabinieri di Balvano, si dice cosi poi non so se è vero. Quindi quando poi questi corpi sono stati messi in stazione, è successo che si è divulgato questo fatto e parecchi sono venuti da fuori e i morti se li sono portati a casa. Poi sono rimasti un due giorni e mezzo qui, faceva freddo, e poi vennero dei camion americani da Potenza che li caricavano e li portavano al cimitero di Balvano, dove fecero delle cataste che poi venivano rimosse a seconda a che arrivavano ancora i congiunti: come il caso di Franciosa che trovò sua madre tra gli uomini, e la riconobbe dal fazzoletto, “o maccatur” che portava sulla testa. E quindi chi ha fatto questa suddivisione, perché io non ho partecipato a questa operazione perché ero in servizio, ha collocato questa donna tra gli uomini. Quindi questi morti qua… risulta tutto aleatorio. Però quando è successo questa cosa qua, io tenevo un capostazione titolare con gli attributi, il quale la prima cosa che mi disse: Ugo, prendi i registri e mettili in cassaforte. Perché erano documenti ufficiali che io tenevo; perché se il treno fosse stato pesante e occorreva un’altra locomotiva, io ero obbligato a mandare da Baragiano una di queste locomotive per far spingere il treno. Però siccome le prestazioni delle due locomotive erano sufficienti per portare il treno a Baragiano, io non ero tenuto a farlo; e poi ci stava la zona, cioè era tutto trascritto, che io avevo trascritto, perché poi c’erano dei protocolli in cui si registravano tutti i telegrammi che arrivavano, e poi feci un bel rapporto di come erano avvenuti i fatti, ogni cosa. Non fui nemmeno interrogato perché intervenne il procuratore della repubblica di Potenza, e anche qui ho visto una quantità di notizie di responsabili, dei capostazione …ma non è vero, perché a noi non ci hanno rotto proprio le scarpe, furono dichiarati dopo siccome c’erano delle responsabilità degli americani in quanto erano carri che 8 di quelli pesavano anziché 8 tonnellate, pesavano 44 tonnellate; più poi tutti i viaggiatori che erano quasi 800, a 50 kg ciascuno erano altre 400 tonnellate, quindi il treno era 900 e rotte tonnellate. Quindi noi nella buona fede, cioè era un caso che fu infatti dichiarato un caso di forza maggiore, e il carbone non era buono ed era americano. Invece, molti giornalisti che volevano sapere se i capostazione erano stati arrestati, gli dissi: voi parlate, ma interrogate almeno le persone che erano sul posto. Noi che eravamo là, vigeva allora il regolamento che non potevamo andare, perché solo sul doppio binario poteva andare un’altra locomotiva in perlustrazione, quindi sul semplice binario non la puoi mandare; e il capotreno, mica a sapere che il capotreno era morto, ed erano morti tutti quanti. E fu dichiarato un caso di forza maggiore perché responsabilità nostre non ce n’erano, e noi osservammo pienamente il regolamento circolazione… è vero che è stata a lunga cosa, però ripeto , potemmo dimostrare che altri treni in precedenza sostavano due, tre ore per fare l’accudienza. Per giunta tutti questi ferrovieri che erano morti, erano tutti amici nostri, e a volte si mangiava anche insieme.

D. Quindi tutto questo si sarebbe potuto evitare?

R. No, evitare no… si poteva evitare se non fossero salite tutte quelle persone

(Interviene Pietro Rossini) Oppure si poteva mettere una locomotiva in coda al treno.

R. Nemmeno, non c’erano i presupposti perché noi (da Baragiano) non è che mandavamo una locomotiva in più, cioè ogni locomotiva per esempio la 480 portava 300 tonnellate, la 476 ne portava 250 tonnellate, la 625 portava 180 tonnellate. E quindi ogni locomotiva aveva una sua prestazione da portare, a seconda dei tratti acclivi. In tutto questo la responsabilità è dei funzionari delle ferrovie, perché due o tre mesi prima morì un macchinista tra Baragiano e Franciosa, un certo Vincenzo Abate, perché il fumo che aveva creato questo carbone, gli aveva creato un’intossicazione e lui pensò di mettersi tra il tender, dove c’era il carbone, e la locomotiva. Tra il tender e la locomotiva c’era una specie di lamiera, un portellone che si ribaltava e che serviva per coprire la giuntura tra il tender e la locomotiva; lui alzò questo portellone e si mise in mezzo, se non che il treno fece mossa, il tender e la locomotiva si sganciò e gli schiacciò la testa…

D. Quindi se fosse stato utilizzato un carbone di buona qualità, magari  questi due inconvenienti, e dunque queste tragedie non sarebbero avvenute?

R. Si, si... Sarebbe bastato il carbon fossile buono e non sarebbe successo tutto quello che è successo! Ma anche con qualche giornalista…cioè hanno fatto una quantità di roba senza, senza…per esempio hanno intervistato il telegrafista di Potenza il quale disse un sacco di fesserie, perché il telegrafista non faceva altro che ricevere i telegrammi e passarli al capostazione, quindi lui non aveva diretti contatti con la circolazione treni! Lo stesso, io tenevo il telegrafista a Baragiano, e il telegrafista non fa altro che ricevere, e poi ti portava il protocollo e tu firmavi, e se aveva sbagliato a ricevere era lui il responsabile…

D. Quindi per quanto tempo i cadaveri sono rimasti alla stazione di Balvano?

R. Ma due, due giorni e mezzo… forse alla stazione sono stati circa tre giorni, perché è stato tutto il giorno 4, il 5 e forse il 6 mattina sono stati portati al cimitero. Poi un’altra cosa è che alle persone che davano segni di vita gli davamo il latte per provocare il vomito, e si mettevano con la testa in giù.

D. E poi è arrivato anche il medico Pacella di Balvano?

R. Si, poi è arrivato anche il medico Pacella di Balvano, ma non teneva iniezioni, non teneva niente, povero figlio, non c’era niente… pure noi tenevamo qualche iniezione di canfora, ma niente più.

D. E poi, dopo sono arrivati gli americani da Potenza?

R. Si, gli americani sono venuti verso mezzogiorno, verso l’una del mattino, ma non è che fecero qualcosa di…di…

D. Però il dottor Pacella racconta che gli americani fecero allontanare tutti, anche a lui?

R. Si, perché bisogna dire anche una cosa onesta: iniziarono a fare il saccheggio e al povero professor Iura di Baragiano tagliarono il dito per asportare l’anello col brillante, che poi l’hanno smentito, ma io lo so perché lui partiva da Baragiano e veniva in ufficio a trovarmi. Poi che cosa succedeva… che arrivavano tutti dalle campagne e buttavano e buttavano la roba al di sotto della stazione di Balvano, dove passa il fiume, e poi si andavano a prendere la roba di tutta questa gente. Insomma ci fu uno sciacallaggio a non finire… in un primo momento tutti quanti che dicevano poveri, ma poi come tutte le cose. Però anche questo non risulta, c’è una deficienza su tutto. Poi anche sul sito internet ho messo il mio numero di telefono per chi volesse dei chiarimenti, ma nessuno mi ha telefonato.


 

 

 

 

 

Intervista a Pino Turco, Regista della rappresentazione teatrale “O cunt r’o quatt e copp

 

 

 

 


 

D. Come sei venuto a conoscenza della misteriosa tragedia del treno 8017?

R. Nel corso di Scuole Aperte presso l’I.C. Giulio  Cesare Capaccio di Campagna (Sa), il giorno 3 marzo 2008 è accaduto che… Vincenzo (Esposito, antropologo) ci ha narrato una storia terribile che noi abbiamo messo nel nostro contenitore “cose da non dimenticare”. E’ la storia, di cui ieri è caduto l’anniversario, di un disastro ferroviario avvenuto in una galleria presso il paese di Balvano, in Basilicata, in cui un treno merci, ma stracarico di passeggeri (alcuni paganti), a causa delle sue locomotive a carbone ha causato la morte di più di seicento persone. Abbiamo ascoltato Vincenzo, facendo ogni tanto delle domande e cercando di capire insieme cosa abbia causato lo spegnersi delle caldaie del treno, alimentate a carbone, e delle vite di tante persone colpevoli solo di aver fame. Abbiamo fatto un esperimento con un lumino ed un bicchiere con cui abbiamo visto come una combustione abbia bisogno di aria per alimentarsi e durare. Una galleria, in cui il treno si è fermato, ha agito come il bicchiere sul lumino: ha consumato in breve tempo tutto l’ossigeno presente e, senz’aria e per lo sviluppo del gas velenoso le persone presenti sono morte quasi tutte. L’inchiesta che è seguita ai tragici fatti non ha rilevato nessuna responsabilità del governo o delle autorità e tutto è stato affossato per essere dimenticato al più presto: noi vogliamo invece che questo orribile episodio venga ricordato e per questo lo metteremo nei nostri racconti da presentare al pubblico. Dopo il racconto abbiamo subito disegnato su dei fogli di cartoncino ciò che più ci aveva colpito della narrazione: il Treno, la Morte, la Fame, la Guerra, l’Aria, le Persone, la Galleria… con l’aiuto di Vincenzo che ha risposto alle nostre domande anche mentre stavamo mettendo giù questi appunti grafici, anzi ci ha promesso di essere con noi quando narreremo questa storia al pubblico… Ci siamo salutati ed abbiamo rinnovato il nostro appuntamento… ringraziando Vincenzo, e da quel momento la Storia tragica del treno 8017 è diventata Memoria con cui si sono confrontati i bambini delle classi seconda e terza della scuola primaria ed oggi è uno dei temi trattati dai componenti del gruppo “Uommene&Tambure” nato nella struttura dell’ICATT (Istituto Carcerario a pena Attenuata Trattamento Tossicodipendenti) di Eboli (Sa).

D. Come mai, perché hai scelto un tema cosi oscuro e intricato per la tua rappresentazione teatrale?

R. Credo che il tema abbia una consistenza ed una ripercussione sulla vita contemporanea di tutto rilievo. Le “morti annunciate” sono di grande attualità tanto che le notizie di morte sul lavoro non “fanno più notizia” da tempo. “Oscuro” perché non ne è stato dato il peso necessario ed “Intricato” solo in apparenza. Se fossero state seguite delle semplici norme di sicurezza il “disastro” (leggi “ecatombe”) non sarebbe accaduto.

D. Quali sono gli aspetti che hai voluto maggiormente evidenziare nella rappresentazione teatrale?

R. a), lo stupore della gente comune davanti ai “fatti” ed alle “parole” che hanno (o non hanno) descritto questi fatti. (Non a caso il primo intervento dell’attrice è in americano, lingua incomprensibile agli “abitanti del luogo” che hanno subito la tragedia); b), la facilità con cui le autorità del tempo (e tutte quelle avvicendatisi al potere fino ad oggi) hanno liquidato il caso; c), la disperazione nel riconoscersi, per analogia di ceto sociale, condizioni di vita, mancanza di “cibo” assenza di possibilità di riscatto, nelle vittime che hanno il solo, tragico, difetto, di essere nati povera gente (a questo proposito ti rimando all’opera Wozzeck di Alban Berg dove il protagonista parla al Capitano che lo accusa di aver avuto un figlio illeggittimo: Noi povera gente! Vede, signor Capitano, denaro, denaro! E chi non ha denaro?! Come si fa a mettere al mondo in modo morale un proprio simile! Siamo anche noi di carne e ossa! Sì, se io fossi un signore, e avessi un cappello e un orologio e un occhialetto e sapessi parlare fino, allora sì che saprei essere virtuoso! Dev’essere una bella cosa la virtù, signor Capitano. Ma io sono un povero d i a v o l o ! Noi siamo infelici sia in questo che nell’altro mondo! Credo che se andassimo in paradiso, saremmo costretti a dare una mano per far tuonare !)

D. Secondo te, questa esperienza cosa ha trasmesso e cosa ha lasciato ai detenuti?

R. Credo che per i “temporaneamente detenuti” il discorso sia maggiormente articolato: in breve, provenendo tutti dal mondo della tossicodipendenza, sostituiscono (e questo è l’effetto dell’Arte per la Salute che io pratico) il personaggio negativo dell’Io drogato che loro “rappresentano” nel mondo, con il personaggio positivo del Teatro a cui danno rabbia e dolcezza e amore. E questo li fa crescere, giorno per giorno. La scelta di far narrare la Memoria del Treno 8017 ai ragazzi dell’ICATT non è casuale: la maggior parte di loro proviene dai luoghi di origine delle seicento vittime della tragedia ed il loro status si avvicina molto a quello dei vinti dalla vita che compongono quella moltitudine brulicante che sembra non avere nessuna collocazione nella Storia e viene alla ribalta solo per tragedie, come quella del treno o per morti sul lavoro o disastri imputabili alla miseria cronica in cui sono costretti a vivere.

D. Hai condotto anche delle interviste ai familiari delle vittime?

No, ma sto prendendo dei contatti e questo sarà il prossimo lavoro che inserirò nella performance, sotto forma di intervento diretto.

D. Grazie per la collaborazione

R. Grazie a te per l’attenzione… sei il primo, in due anni, che si mostra interessato alla vicenda… se vuoi posso tenerti aggiornato sui prossimi sviluppi…

 


 

BIBLIOGRAFIA

 

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www.antiarte.it/trenodiluce/webprocesso.htm


 

[1] Cfr. G. Barneschi, Balvano 1944. I segreti di un disastro ferroviario ignorato, Mursia editore, Milano, 2005, p. 53.

[2] N. Raimo, Strade Ferrate, Novembre 1980, pp. 33 ss.

[3] Cfr. M. Restaino, Un treno, un'epoca: storia dell'8017, Arti grafiche Vultur, Melfi, 1994, p. 23.

[4] Cfr. G. Barneschi, Balvano 1944. I segreti di un disastro ferroviario ignorato, op. cit., pp. 53 ss.

[5] Cfr. www.antiarte.it/trenodiluce/webprocesso.htm, in cui si sostiene che non è vero che un viaggiatore non possa assolutamente prendere posto su un merci. Se la cosa accade, egli deve pagare il biglietto ed una penale, e scendere alla prima stazione. Però, può risalire sullo stesso merci, pagare ancora un biglietto ed una penale […] e così via fino alla fine del viaggio

[6] Cfr. G. Barneschi, Balvano 1944. I segreti di un disastro ferroviario ignorato, op. cit., pp. 85 ss.

[7] Cfr. G. Barneschi, Balvano 1944. I segreti di un disastro ferroviario ignorato, op. cit., pp. 85 ss.

[8] G. Barneschi, in Balvano 1944. I segreti di un disastro ferroviario ignorato, Milano, Mursia editore, 2005, fa riferimento a Salerno, mentre uno dei soccorritori, Gentile, capotreno della stazione di Baragiano, ricorda che il cambio sia avvenuto alla stazione di Battipaglia.

[9] Cfr. M. Restaino, Un treno, un'epoca: storia dell'8017, op. cit., p. 35.

[10] R. Santarelli, Mezzogiorno 1943-1944. Uno «Sbandato» nel Regno del sud, Feltrinelli, Milano, 1999, p. 124.

[11] S. Romano, La storia sul comodino. Personaggi, viaggi, memorie, Greco e Greco editori, Milano, 1995, p. 164.

[12] G. Frisoli, Ogni viaggiatore sedeva cadavere al suo posto, in L'Europeo, 18 marzo 1956, pp. 52 ss.

[13] ACS, Verbali del Consiglio dei ministri, seduta del 9 marzo 1944, in A. Ricci, Verbali del Consiglio dei ministri luglio 1943 - maggio 1948, vol. I, Presidenza del Consiglio dei Ministri Editoria, Roma, 1996, pp. 260 ss.

[14] ACS, Verbali del Consiglio dei ministri, seduta del 9 marzo 1944, in A. Ricci, Verbali del Consiglio dei ministri luglio 1943 - maggio 1948, vol. I, Presidenza del Consiglio dei Ministri Editoria, Roma, 1996, pp. 260 ss.

[15] R. Santarelli, Mezzogiorno 1943-1944. Uno «Sbandato» nel Regno del sud, Feltrinelli, Milano, 1999, p. 127.

[16] Archivio Centrale dello Stato. Verbali del Consiglio dei Ministri. Luglio 1943 - maggio 1948, op. cit., pp. 253-262.

[17] http://www.antiarte.it/trenodiluce/viaggianti.htm

[18] Cfr. M. Restaino, Un treno, un'epoca: storia dell'8017, op. cit., p. 26.

[19] Archivio Centrale dello Stato. Verbali del Consiglio dei Ministri. Luglio 1943 - maggio 1948, op. cit., pp. 253-262.

[20] N. Raimo, Strade Ferrate, op. cit., pp. 33 ss.

[21] Ibidem.

[22] C. Mussa, E la morte scese sul treno, in Famiglia Cristiana, 4 marzo 1979, pp. 40 ss.

[23] R. Pocaterra, in Linea Treno, Maggio 1995, p. 31.

[24] Selezione dal Reader's Digest, Luglio 1962, pp. 11-16.

[25] Sulla questione della posizione delle leve di comando, la maggior parte delle versioni pubblicate concorda con la tesi di Raimo, nell'affermare che la prima locomotiva era disposta per la marcia avanti mentre nella seconda la valvola d'inversione era disposta per la marcia indietro. Cfr. N. Raimo, cit., p. 33-37.

[26] Cfr. M. Restaino, Un treno, un'epoca: storia dell'8017, op. cit., pp. 26 ss.

[27] Cfr. M. Restaino, Un treno, un'epoca: storia dell'8017, op. cit., p. 26.

[28] G. Barneschi, Balvano 1944. I segreti di un disastro ferroviario ignorato, Milano, Mursia editore, 2005.

[29] http://www.antiarte.it/trenodiluce/soccorritori.htm

[30] Cfr. M. Restaino, Un treno, un'epoca: storia dell'8017, op. cit., p. 25.

[31] G. Gaskill, La misteriosa catastrofe del treno 8017, in Selezione dal Reader's Digest, Luglio 1962, pp. 11 ss.

[32] Cfr. M. Restaino, Un treno, un'epoca: storia dell'8017, op. cit., pp. 25 ss.

[33] C. Mussa, cit., pag. 40-46.

[34] Cfr. G. Francione, Calabuscia, Roma, Aetas Internazionale, 1994.

[35] A. Bobbio, Un disastro cancellato, in Famiglia cristiana, 29 febbraio 2004, p. 53.

[36] G. Barneschi, Balvano 1944. I segreti di un disastro ferroviario ignorato, Milano, Mursia editore, 2005.

[37] Il Corriere della Sera - Salerno, 23 marzo 1944, p. 2.

[38] Si vedano a questo proposito i tre articoli di Giulio Frisoli pubblicati su L'Europeo nel marzo 1956 (11 marzo 1956, pagine 12-15; 18 marzo 1956, pagine 52-55; 25 marzo 1956, pagine 37-41).

[39] http://www.antiarte.it/trenodiluce/webprocesso.htm

[40] Si fa notare, come riportato da molte testimonianze dell’epoca, che per percorrere i circa 7 km che dividono due le stazioni i treni vi impiegassero anche più di due ore.

[41] http://www.antiarte.it/trenodiluce/webprocesso.htm

[42] Archivio Centrale dello Stato. Verbali del Consiglio dei Ministri. Luglio 1943 - maggio 1948. Edizione critica a cura di Aldo G. Ricci Volume I Governo Badoglio 25 luglio 1943 - 22 aprile 1944 (Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1994), pp. 253-262.

[43] Resoconto americano della sciagura in "The 727th Railway Operating Battalion in World War II", New York, Simmons-Boardman Publishing Corporation, 1948, p. 60.

[44] http://www.antiarte.it/trenodiluce/webprocesso.htm

[45] C. Martucci, Oggi, 15 marzo 1951, p. 8

[46] Articolo di C. Mussa, pubblicato in Famiglia Cristiana, 4 marzo 1979, p. 40 ss.

[47] G. Frisoli, in L'Europeo, Il più grande disastro ferroviario del mondo, terza puntata; 25 marzo 1956, pp. 37-41.

[48] Cfr. M. Restaino, Un treno, un'epoca: storia dell'8017, op. cit., pp. 124 ss.

[49] Proposta di legge n. 4798 del deputato Giuseppe Molinari, presentata il 10 marzo 2004, pubblicata negli Atti Parlamentari della Camera dei Deputati, XIV Legislatura.

[50] V. Castronuovo, N. Tranfaglia, La stampa italiana dalla Resistenza agli anni Sessanta, Laterza, Bari, 1980, p. 172.

[51] “The Monessen Daily Independent” Monessen, Pennsylvania, U.S.A lunedì 6 marzo 1944, pagina 1; The New York Times - New York, 6 marzo 1944, pagina 5; The Stars and Stripes. Daily Newspaper of U.S. Armed Forces in the European Theater of Operations - New York - London, 6 marzo 1944, pagina 1.

[52] The Times - Londra, 7 marzo 1944, pagina 3.

[53] Quest’ultimo riporta la definizione del gen. Gray sull’incidente come il più increscioso e insolito nella storia delle ferrovie, si salvarono una sessantina di passeggeri e non c’erano inglesi o americani sul treno.

[54] Il Corriere - Salerno, 23 marzo 1944.

[55] C. Martucci, in Oggi, 15 marzo 1951, pp. 7-8.

[56] A. Perissinotto, Treno 8017, Palermo, Sellerio editore, 2003.

[57] Allied Military Government of Occupied Territory (Governo Militare Alleato dei Territori Occupati).

[58] http://www.antiarte.it/trenodiluce/webprocesso.htm

[59] Giuseppe Russo ricorda il nonno morto sul treno 8017, http://www.trenidicarta.it/treno8017/20060301matteofederico.html

[60] http://www.antiarte.it/trenodiluce

[61] Proposta di legge n. 4798 del deputato Giuseppe Molinari, presentata il 10 marzo 2004, pubblicata negli Atti Parlamentari della Camera dei Deputati, XIV Legislatura.

[62] Cfr. G. Barneschi, Balvano 1944. I segreti di un disastro ferroviario ignorato, op. cit., p. 17.